La villa di Demetriade e la basilica di S. Stefano


  1. La villa di Demetriade
  2. La basilica di S. Stefano

La villa di Demetriade

L'area alle spalle del sepolcro dei Pancrazi era occupata da una ricca e vasta villa (nella quale fu costruita successivamente la basilica di S. Stefano), che sembra sia stata costruita all'inizio del II sec. d.C. dalla famiglia dei Valeri Paullini.

Essa doveva essere assai ricca, come dovevano esserlo le numerose ville edificate nel suburbio di Roma intorno alla via Latina e alla via Appia Antica. Ci sono poi degli indizi che questa villa sia finita nel demanio imperiale per opera dell'imperatore Commodo, con una vicenda simile a quella subita dalla villa dei Quintili sulla via Appia.

Il complesso, che in questo punto si affacciava sulla via Latina, aveva l'entrata principale all'altezza del sepolcro Barberini; da lì infatti, guardando fuori del recinto del Parco in direzione di via Tuscolana, si vede un grosso rudere, che costituiva l'ingresso apposta per chi veniva da Roma. Il monumento aveva la forma di un'esedra, cioè di uno spazio semicircolare (probabilmente coperto) delimitato da un muro.

Accanto al sepolcro dei Calpurnii vi era invece l'ingresso secondario, che immetteva in un cortile grande grosso modo come lo spiazzo a trapezio allungato che separa la basilica di S. Stefano dalla cancellata che chiude il parco.

Il cortile era circondato da un lungo portico, che consentiva di arrivare al peristilio (cioè il cortile circondato da colonne che era al centro della villa, e nel quale sors e poi la basilica di S. Stefano) comodamente anche quando pioveva o c'era troppo sole. Lì era la facciata della villa, con ai lati i magazzini in cui si tenevano i depositi di grano, i carri o altro. Il muro perimetrale del cortile, messo per sbieco, è ancora visibile dietro il sepolcro dei Pancrazi.

La villa vera e propria si estendeva ben oltre il confine del parco, ma nel 1964 è andata distrutta per i due terzi per la costruzione dei campi sportivi. Il poco rimasto è stato sepolto per proteggerlo meglio, per cui l'unica cosa visibile sono i resti della basilica di S. Stefano.

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La basilica di S. Stefano

In età costantiniana la villa sembra sia passata dal demanio imperiale alla famiglia degli Anicii, e nel V sec. d.C., al tempo di papa Leone I (440 - 461) detto "Magno" per aver fermato Attila, ne era proprietaria una nobildonna romana di nome Demetriade. Questa donna, consacrandosi a Dio, trasformò la propria casa in una basilica, coprendo con un tetto il peristilio e consacrandolo come chiesa.

basilica di S. Stefano
La basilica di S. Stefano

Della basilica (oggi chiusa da un muro moderno) restano tratti dei muri e alcune colonne, dalle quali si deduce che l'impianto era a tre navate.

Tenendo presenti le dimensioni della basilica possiamo renderci conto della grandezza della villa; al posto della basilica c'erano il giardino, le statue, le fontanelle, le aiuole fiorite, e il colonnato tutto attorno; sul cortile si affacciavano le stanze, e in particolare in fondo il triclinio (la camera da pranzo) e le camere da letto, mentre ai lati dovevano esserci i bagni e le cucine. Nei secoli successivi la villa crollò, mentre la basilica rimase in attività fino addirittura al '200; dopodiché, sperduta com'era nella campagna e senza la protezione della villa, cadde in disuso, e dal XIV secolo se ne persero le tracce fino alla riscoperta del Fortunati.

La basilica era dedicata a S. Stefano protomartire, le cui reliquie furono trasportate qui dalla stessa Demetriade; esse dovevano essere conservate nella "Confessione", cioè il vano sotto l'altare (ora coperto dalla tettoia di plastica ondulata) sul quale i fedeli si inginocchiavano in venerazione; dietro l'altare si vede l'abside in opera listata. L'opera listata, in uso saltuariamente (e per di più associata quasi sempre al laterizio) sin dall'età di Adriano, diventa all'inizio del IV sec. d.C. la tecnica tipica di costruzione; il paramento è costituito da fasce di mattoni alternate con parallelepipedi di tufo, disposti in fasce orizzontali.

In fondo alla navata destra, in corrispondenza di una porticina, c'è il Battistero, una piccola piscina a forma di quadrifoglio scavata nel terreno, nella quale si scendeva per mezzo di una scaletta; gli antichi cristiani infatti erano battezzati per immersione. Qui furono ritrovate numerose sculture, oggi esposte ai Musei Vaticani, e anche una lastra di marmo, a profilo ricurvo, con una discussa epigrafe altomedievale.

La lastra, che forse apparteneva ad un ambone, fu ritrovata nel XIX secolo e oggi è conservata nella sala IV del Museo Nazionale dell'Alto Medioevo. L'epigrafe è incisa dall'alto verso il basso, tuttavia lo spazio limitato a disposizione ha costretto l'incisore a mandare a capo le parole in modo disordinato, a usare molte abbreviazioni e ad affollare di lettere la parte finale dell'epigrafe dove lo spazio disponibile stava ormai finendo; questo ha portato ad interpretare l'epigrafe come se si riferisse ad una campana dedicata a S. Stefano da un pastore (gregarius) locale, ma l'interpretazione appare poco plausibile.

Nell'epigrafe si legge la seguente iscrizione:

[...] S(AN)[CTI] STEPHANI PRIMI«S» MARTIRI(S) EGO LVPO GRIGARIVS
[D]E CANAPA EXPENSIS MEI(S) FECI TEMP(ORIBUS) D(OMINI) N(OSTRI) SERGII TER BEA(TI)SSIM(I) ET COANGELICO IVNIORIS PAP(A)E AMEN

(tra parentesi quadre sono indicate le lettere che mancano perché la lastra è incompleta; tra parentesi tonde sono indicate le lettere che mancano perché la parola è stata abbreviata; tra virgolette sono indicate le lettere che costituiscono un errore di grammatica)

La menzione del pontificato di papa Sergio II (844-847) assegna con certezza l'epigrafe alla metà del IX secolo. La dedica è compiuta da un certo Lupo, che doveva essere il soldato magazziniere (GRIGARIVS dovrebbe essere inteso come miles gregarius) di un deposito (de canapa) militare situato presso la basilica di S. Stefano protomartire, quindi probabilmente nella zona del vicino Campo Barbarico.

La stradina di collegamento tra la via Latina e la via Appia Antica

Tornando indietro, la via Appia Nuova ci porta verso via dell'Almone. Sulla collina di sinistra, si riconoscono tracce di una villa di età repubblicana, di cui restano alcuni muri in opera reticolata. Dal lato opposto di via dell'Almone troviamo invece una stanza rettangolare in laterizio, da alcuni identificata come vasca termale. Un basolo che si trova lì accanto fa supporre l'esistenza di una stradina lastricata, la stessa che partiva probabilmente dalla via Latina accanto al sepolcro Baccelli.


Adesso se vuoi puoi tornare ai monumenti del primo tratto del Parco archeologico della via Latina.

Oppure puoi proseguire la visita con il sistema degli acquedotti romani accanto alla via Tuscolana e a porta Furba.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 12 febbraio 2003