Gli acquedotti romani a Porta Furba


  1. Il sistema degli acquedotti romani
  2. L'acquedotto Marcio
  3. Gli acquedotti dell'Aqua Claudia e Aqua Marcia a via del Mandrione
  4. La via Tuscolana
  5. L'acquedotto Felice, porta Furba e la fontana di Clemente XII
  6. L'aqua Claudia tra porta Furba e via Demetriade
  7. Gli acquedotti di Claudio e Anio Novus
  8. Gli altri acquedotti di Roma

Il sistema degli acquedotti romani

Il tratto della via Latina successivo alla villa di Demetriade, che un tempo era tra i più caratteristici della Campagna Romana, con sepolcri, cisterne e acquedotti immersi fra prati e boschetti, è ora soffocato dalla speculazione edilizia, e le arcate dell'acquedotto di Claudio e dell'acquedotto Felice si scorgono appena in mezzo a capannoni e baracche.

Nonostante il degrado, chi si avventura nella zona compresa tra la via Tuscolana e la via Appia Nuova, raggiunge un'area archeologica straordinaria, dove passano ben sette acquedotti antichi: l'acquedotto di Claudio su cui corrono i resti dell'acquedotto Anio Novus, alcune arcate dell'acquedotto Marcio, a sua volta sormontato dai due acquedotti dell'Aqua Tepula e dell'Aqua Iulia, e l'acquedotto Anio Vetus che passa sottoterra. Infine, all'altezza di porta Furba si staccava dall'acquedotto Marcio la diramazione dell'acquedotto Antonianiano, che alimentava le Terme di Caracalla.

Degli undici acquedotti che rifornivano Roma in età imperiale, questi erano senz'altro i più importanti, convogliando il 74% dei 13 metri cubi d'acqua che ogni secondo entravano in città.

L'Anio Novus, la Marcia, la Claudia e l'Anio Vetus captavano l'acqua delle migliori sorgenti dell'alta valle dell'Aniene, che seguivano fino a Tivoli; di lì, dopo aver fatto un'ampia curva seguendo i monti Prenestini fino ai Colli Albani, sbucavano dalle parti di Capannelle per puntare dritti su porta Maggiore.

L'acqua doveva arrivare a Roma ad una quota piuttosto elevata, per poter servire tutte le zone della città; unica eccezione era l'Anio Vetus, il più antico, che fu fatto correre tutto sottoterra.

Nel 1585 Sisto V utilizzò le arcate dell'acquedotto Marcio per costruire un ottavo acquedotto: l'acquedotto Felice, che riportò l'acqua a Roma dopo quasi mille anni ed è tuttora funzionante.

Non è casuale che ben otto acquedotti si trovino a passare più o meno nello stesso luogo; la direttrice Capannelle-porta Maggiore si trova infatti su una lingua di terra rialzata, che segna lo spartiacque fra i bacini del basso Tevere e dell'Aniene, per cui fu naturale utilizzarla per portare l'acqua a Roma alla quota più alta possibile.

Approfondisci:
l'approvvigionamento idrico dei Romani

L'acquedotto Marcio

Raggiungendo via del Mandrione da via Arco di Travertino troviamo sulla sinistra uno dei rarissimi tratti dell'acquedotto Marcio scampati agli architetti di Sisto V; (un altro tratto superstite lo vedremo dietro al casale di Roma Vecchia).

I resti che vediamo qui sono probabilmente i 10 archi meglio conservati dell'intero acquedotto.


L'acquedotto Marcio a via del Mandrione

Approfondisci:
l'acquedotto Marcio

I pilastri si appoggiano su fondamenta anch'esse in opera quadrata di tufo; i blocchi più bassi delle fondamenta, quelli cioè a contatto col suolo, sono di tufo di Grotta Oscura, un tufo poroso giallo-grigio, mentre il resto è formato da blocchi di tufo rosso dell'Aniene. Sopra le fondamenta, i pilastri sono di nuovo costituiti da blocchi di tufo di Grotta Oscura.

Le competenze ingegneristiche acquisite con la costruzione dell'acquedotto permisero, due anni più tardi (142 a.C.), la costruzione del primo ponte in pietra sul Tevere, il ponte Emilio (che noi chiamiamo "ponte Rotto").

E' abbastanza ben conservato, seppur pieno di detriti, lo "specus", cioè il canale dell'acqua; costruito sempre in opera quadrata, ha le fiancate costituite da tre linee di blocchi di tufo di Grotta Oscura sovrapposti, mentre al di sotto e al di sopra il fondo e la copertura sono formati da lastroni di peperino messi di piatto. Il condotto è rivestito all'interno di cocciopisto, un tipo di intonaco impermeabile ottenuto impastando la calce con frammenti di mattoni.

Approfondisci:
il tufo nell'architettura Romana

Al di sopra del canale dell'acqua Marcia, in qualche punto si riconosce anche il condotto, in opera reticolata, dell'acqua Tepula, sul quale si intravedono i resti di quello dell'acqua Iulia.


Gli acquedotti Marcio e Tepula a via del Mandrione

Approfondisci:
gli acquedotti dell'Aqua Tepula e dell'Aqua Iulia

Le arcate dell'Aqua Marcia erano state progettate per uno, e non per tre acquedotti sovrapposti; per questo esse vennero più volte rafforzate, dai muri in opera reticolata del I secolo fino ai rivestimenti in laterizio al tempo dell'imperatore Tito (79-81 d.C.) e dell'imperatore Diocleziano (284-305 d.C.), questi ultimi ancora presenti in entrambi i fianchi dell'acquedotto.


Gli acquedotti Marcio e Tepula con brandelli del pavimento dell'aqua Iulia

Gli acquedotti dell'Aqua Claudia e Aqua Marcia a via del Mandrione

Imbocchiamo ora via del Mandrione verso porta Furba; l'acquedotto Felice, che fin qui si era appoggiato all'acquedotto Claudio, passa sulla sinistra della strada e si sovrappone al tracciato dell'Aqua Marcia.

Nel lungo muro che ne risulta, con molta buona volontà è possibile riconoscere, frammisti alle strutture dell'acqua Felice, sia i pilastri in opera quadrata di tufo dell'Aqua Marcia, sia rinforzi in calcestruzzo apportati in seguito; dopodiché l'acqua Felice riattraversa la strada per appoggiarsi di nuovo all'acquedotto di Claudio. Via del Mandrione è tra l'altro una strada di servizio romana per la manutenzione periodica degli acquedotti, che passava in mezzo tra le arcate dell'acquedotto Claudio a destra, e le arcate dell'acquedotto Marcio a sinistra. Il basolato della strada romana è stato scoperto nel 1997 all'interno del terreno della Banca d'Italia. Entrambi gli acquedotti avevano le piscine limarie a Capannelle.


L'acquedotto Claudio e la strada di servizio all'interno della Banca d'Italia

Negli ultimi cento metri di strada la folta siepe sulla sinistra è l'unica cosa rimasta sul tracciato originario delle arcate dell'acquedotto Marcio, che dovevano essere scomparse già nel '500.

L'acquedotto di Claudio compare a destra in tutta la sua imponenza. L'opera, realizzata in opera quadrata di tufo rosso dell'Aniene, è seminascosta però dai rinforzi apportati nelle epoche successive; il massiccio rivestimento in laterizio, più basso dell'acquedotto, che sporge formando un gradino risale al tempo dell'imperatore Settimio Severo; tale rivestimento fu utilizzato dagli architetti di Sisto V come base per il condotto dell'acqua Felice.


L'acquedotto Claudio in via del Mandrione

La via Tuscolana

La via Tuscolana, la cui antica origine è ancora discussa, usciva da Porta Asinaria dal XVIII sec. e si dirigeva verso Frascati, ma probabilmente si sviluppò già nel corso del medioevo, collegando tronchi preesistenti in origine tra loro indipendenti, per puntare alla città di Tuscolo; il nome poi rimase anche dopo la distruzione di Tuscolo nel 1191. Seguiamo la via Tuscolana per circa 700 m, e volgiamo a sinistra fino a raggiungere il mausoleo detto "Monte del Grano".

Il monumento si presenta come una collina di terra alta circa 12 metri, priva dell'originale rivestimento esterno a blocchi di travertino, asportati nel tardo medioevo.

Approfondisci:
l'architettura funeraria romana

Il mausoleo poteva essere del tipo più grande, a tamburo cilindrico e camera interna, a dado se costituito da un nucleo quadrangolare in calcestruzzo, a pilastro se costituito da una struttura molto più alta che larga, oppure a tumulo come questo che vediamo.

Dalla somiglianza con un moggio di grano capovolto, gli deriva il nome di Modius Grani: una leggenda vuole che un grosso cumulo di grano, raccolto in giorno festivo, fosse stato distrutto da un fulmine per punizione divina e trasformato in terra. In ogni modo, il nome medioevale fu probabilmente quello di "Monte di Onorio". La collina faceva parte della tenuta del Casale delle Forme e nel primo Cinquecento gli fu eretta al di sopra una torretta a 4 piani con una merlatura di tipo ghibellino, crollata a seguito di un temporale agli inizi del '900.

Più conservato e suggestivo appare l'interno, che mostra un complesso di ambienti in laterizio; un lungo corridoio di mattoni che era illuminato da un lucernaio obliquo (ora moderno) conduce ad una vasta sala circolare, divisa originariamente in due piani da una volta, sostenuta probabilmente da un giro di colonne; la camera superiore, illuminata da due lucernai, era preceduta da un vestibolo a pianta rettangolare.

La struttura laterizia fa risalire il monumento al III sec. d.C., ben oltre il periodo di massima diffusioene di questo genere di tombe (II sec. a.C. - I sec. d.C.); siamo quindi di fronte ad una volontà precisa di ricordare modelli antichi, in architettura così come forse nella vita pubblica o privata. All'interno della camera sepolcrale, nel 1582, fu scoperto il celebre sarcofago con scene della vita di Achille (oggi al Museo Capitolino), che fece attribuire il mausoleo ad Alessandro Severo ed a sua madre Giulia Mamea.

Raggiungiamo Piazza dei Consoli, dove si conserva il vecchio casale del Quadraro. Il casale consiste in un agglomerato di costruzioni secentesche e ancora più recenti, che inglobano una rozza torretta a merlatura ghibellina.

La torre, dalla tipica tecnica in blocchetti di tufo, risale al XII-XIII sec., e mostra ampie finestre rettangolari parzialmente rifatte, e una base rinforzata da un piccolo sperone. La torre fu costruita al posto di una torre precedente o comunque sopra strutture antiche, data la presenza di resti in opera incerta di tufo di età repubblicana. Di qui era possibile controllare il primo tratto suburbano della via Tuscolana, restando certamente in contatto con la torre di Centocelle sulla via Casilina e con Tor Fiscale sulla via Latina.

Approfondisci:
la feudalizzazione della Campagna Romana

Sulla base di numerosi ritrovamenti è stata ipotizzata la presenza di una villa signorile di età imperiale, oppure di un tempio dedicato ad Ercole. Il nome del luogo deriva probabilmente da un certo C.G. Guadralis, che fu proprietario del terreno nel 1164; nel 1288, il casale era diviso tra il Monastero di S. Alessio e le famiglie Arcioni ed Astalli; infine nel XIV sec. appare il nome di "Casale lo Quadraro". I Colonna ne vennero in possesso nel XV sec., ed in età moderna, il casale fu al centro di una vastissima tenuta, poi inglobata in quella di Roma Vecchia.

Porta Furba, l'acquedotto Felice e la fontana di Clemente XII

Quando nel 1574 papa Gregorio XIII apriva porta S. Giovanni e inaugurava la via Appia Nuova, l'unico acquedotto rimasto in funzione era l'acquedotto Vergine, e gli abitanti di Trastevere e di molti altri rioni erano costretti a bere l'acqua del Tevere, talvolta depurata dentro le cisterne, talvolta no. I colli erano praticamente disabitati e coltivati a vigneto, mentre per la città giravano gli "acquaroli", i venditori d'acqua.

Per questo motivo, il 5 maggio 1585 papa Sisto V (Felice Peretti), ad appena 10 giorni dall'elevazione al pontificato, intraprese la costruzione di un nuovo acquedotto, lungo 28,7 km, chiamato acquedotto Felice dal nome di battesimo del papa; l'opera, che avrebbe condotto a Roma le acque della campagna tra Zagarolo e Palestrina (circa 50 metri cubi d'acqua al minuto), aveva lo scopo di rifornire la parte alta della città (Esquilino, Viminale, Quirinale) allora priva di una rete di distribuzione idrica, nonché di alimentare le sei fontane della villa papale presso le Terme di Diocleziano.

La direzione dei lavori fu inizialmente affidata a Matteo Bartolani da Castello; quando questi però spese una quantità ingentissima di denaro per costruire un condotto che non pendeva dalle sorgenti verso Roma, ma da Roma verso le sorgenti, Sisto V incaricò della direzione Giovanni Fontana, che sostituì il Bartolani e portò a termine l'opera in soli due anni.

Come per altre opere rinascimentali, non ci si fece scrupolo di demolire importanti resti del passato. Così, per la costruzione dell'acquedotto, Sisto V si servì dei materiali dell'acquedotto di Claudio e degli archi dell'acquedotto Marcio; sopra le fondamenta romane furono così innalzate le nuove arcate, che, come si può vedere, sono più piccole e rade delle arcate tipiche degli acquedotti antichi, ed hanno i piloni più massicci. In alto, il condotto è coperto con una volta a botte per proteggere l'acqua da polvere, terra ecc. L'aver ricalcato l'acquedotto Marcio indusse tra l'altro Sisto V nell'erronea convinzione di aver ricondotto a Roma l'acqua Marcia e l'acqua Appia.


L'acquedotto Felice a via Nocera Umbra

L'arco di porta Furba sottolinea in modo monumentale il passaggio sopra via Tuscolana dell'acquedotto Felice; Sisto V volle così ricollegarsi idealmente all'uso degli antichi architetti romani, che trasformavano in modo monumentale le arcate degli acquedotti in corrispondenza del passaggio delle grandi strade.


Porta Furba

L'arco, previsto ed iniziato già al tempo in cui dirigeva i lavori dell'acquedotto l'architetto Matteo Bartolani da Castello, è tutto rivestito di blocchi di peperino, tufo assai duro di color verdastro e grigio cenere.

La chiave di volta, scolpita in entrambi i lati e che raffigura teste di leone, la linea d'imposta dell'arco e le cornici delle iscrizioni sono in travertino, la tipica pietra calcarea sedimentaria proveniente dalle cave presso Tivoli (da cui il nome di Lapis Tiburtinus), che era utilizzata già al tempo dei Romani.

Le iscrizioni, che celebrano la costruzione dell'intero acquedotto, sono scolpite su lastre di marmo.


L'arco di porta Furba

E' tuttora incerta l'origine del nome della porta. Una spiegazione deriva dalla presenza di ladri o briganti ("furbi", dal latino fur = ladro) che si rintanavano nelle vicinanze; altri pensano che il nome sia in realtà una alterazione della parola "forma", con la quale nel medioevo si indicavano gli acquedotti: così sono infatti chiamati nella carta di Eufrosino della Volpaia del 1547.

Accanto alla porta troviamo la fontana in travertino eretta nel 1733 da papa Clemente XII (Lorenzo Corsini), lo stesso papa della fontana di Trevi; l'acqua, che fuoriesce da un curioso mascherone dalle ali di pipistrello, si versa in una conchiglia, e si raccoglie in una grande vasca posta su cinque gradini.


La fontana di Clemente XII

Sopra il mascherone poggia lo stemma cardinalizio di mons. Felice Passerini, allora presidente delle acque; al di sopra, una iscrizione che ricorda il restauro dell'acquedotto è sovrastata dallo stemma papale.


Il mascherone

Davanti alla fontana, ancora nei primi anni di questo secolo correva il ruscello dell'acqua Mariana, come testimoniano le fotografie dell'epoca; oggi il ruscello è però coperto dall'asfalto della moderna via Tuscolana, e il luogo, degradato a vorticosa rotatoria spartitraffico, è quasi inavvicinabile a causa del traffico intensissimo. Al di là della strada, la sede ferroviaria occupa più o meno lo stesso luogo dove anticamente passava l'acquedotto Anio Vetus.

L'acquedotto Anio Vetus (Aniene Vecchio)

L'acquedotto Anio Vetus fu il secondo acquedotto di Roma, costruito dai censori Marcio Curio Dentato e Fulvio Flacco tra il 272 e il 269 a.C. con il bottino ricavato dalla vittoria su Pirro.

L'acqua era captata dal fiume Aniene all'altezza di Vicovaro, tramite un laghetto artificiale che permetteva la decantazione delle acque.

L'acquedotto aveva una portata di 180.000 metri cubi d'acqua al giorno, e seguiva, per mantenersi in quota, un percorso tortuoso e lunghissimo (circa 64 km) quasi sempre sotterraneo; questo sia perché non era stata sviluppata la tecnica delle grandi arcate in opera quadrata, sia perché l'Italia non era ancora del tutto pacificata, il che costituiva un pericolo per un acquedotto troppo evidente.

Dalle Capannelle il tracciato dell'acquedotto, sempre sotterraneo, corre parallelamente agli altri, e all'altezza di via del Quadraro diventa più o meno coincidente con la sede della ferrovia.

In età imperiale l'urbanizzazione intensiva della zona tra Vicovaro e Mandela provocò l'inquinamento dell'acqua, che da allora in poi fu destinata esclusivamente all'irrigazione e alle fontane.

L'aqua Claudia tra porta Furba e via Demetriade

Da porta Furba possiamo costeggiare un tratto dell'acquedotto di Claudio in cui i piloni originali in opera quadrata di tufo fanno capolino in mezzo alle fasciature laterizie successive.

Sulla destra si vedono due degli archi originali in opera quadrata, un tipo di muratura costituito da grossi blocchi di pietra (in questo caso di tufo) di forma parallelepipeda, disposti gli uni sugli altri formando una struttura regolare.

I piloni, la cui base misura in generale circa 3,5 metri per lato, sono alti circa 20 metri. Il canale per l'acqua ha una sezione di quasi 2 metri quadrati, e poteva portare a Roma quasi 190.000 metri cubi d'acqua al giorno.

Approfondisci:
gli acquedotti di Claudio e Anio Novus


L'acquedotto Claudio tra porta Furba e via Demetriade

Sopra il canale dell'Aqua Claudia si intravede un secondo canale, più o meno della stessa sezione, costruito stavolta in laterizio; è l'acquedotto Anio Novus, cioè Aniene Nuovo, così chiamato per distinguerlo dall'Anio Vetus, costruito più di 3 secoli prima e le cui acque erano ormai buone solo per le fontane.

Le arcate dell'acquedotto di Claudio furono rafforzate all'interno, al tempo dell'imperatore Adriano (117-138 d.C.), con due ordini di archi in calcestruzzo rivestiti in laterizio, di cui troviamo un esempio sulla destra al di là della strada; i due archi in laterizio sovrapposti che si vedono sono l'unica parte dell'acquedotto rimasta dopo che i blocchi di tufo furono asportati nel passato per servire come materiale da costruzione.

Guardando alla sinistra delle arcate, si riconoscono i lavori di restauro del tempo dell'imperatore Settimio Severo (193-211 d.C.): per prima cosa gli spazi vuoti rimasti sotto gli archi doppi di Adriano furono riempiti di calcestruzzo, quindi le pareti furono fasciate con un muro in laterizio con tre ordini di arcate.

Il muro di Settimio Severo è ancora visibile lungo quasi tutta la parete, ma solo nella parte più bassa, dal momento che un ulteriore restauro, portato in epoca successiva, ricostruì la metà superiore del rivestimento, arrivando ad inglobare perfino i due canali dell'Aqua Claudia e dell'Anio Novus.

Le acque avevano un tale contenuto calcareo che periodicamente era necessario interrompere il flusso per scrostare le pareti dei canali.

Degli appositi tombini consentivano di entrare nel canale; i residui di materiale calcareo venivano poi gettati nei pressi, e una tale attività, durata ininterrottamente per centinaia di anni, provocò l'accumulo di tali quantità di materiale che questo fu usato in molti casi come pietra da costruzione.

Approfondisci:
la manutenzione degli acquedotti

Da queste parti, dall'acquedotto Marcio si staccava l'acquedotto Antoniniano, che passava sulla via Latina nei pressi di via dei Cessati Spiriti ed alimentava le terme di Caracalla.

Approfondisci:
l'acquedotto Antoniniano

Gli altri acquedotti di Roma

Oltre ai sei acquedotti che abbiamo descritto, Roma aveva altri cinque acquedotti principali più varie diramazioni secondarie.

Il più antico di tutti gli acquedotti principali fu l'Aqua Appia, realizzato dallo stesso costruttore della via Appia Antica.

L'acqua era captata dalla via Prenestina a 7-8 km da Roma, e arrivava in città ad una quota molto bassa, per terminare al foro Boario (dove oggi è l'Anagrafe); lì era il porto della Roma repubblicana, meta di viaggiatori provenienti da tutto il Mediterraneo, e quindi la presenza di acqua potabile rivestiva anche fini evidentemente propagandistici.

L'acquedotto Appio, a parte qualche tratto urbano in blocchi di tufo, non è stato più ritrovato.

Al tempo di Augusto fu costruito l'acquedotto Vergine, che è l'unico rimasto sempre in funzione sin dall'antichità, ed alimenta oggi la fontana di Trevi.

L'acqua Alsietina prendeva l'acqua dal lago di Martignano e serviva per le grandi naumachie che si tenevano a Trastevere.

Un altro acquedotto, che oggi alimenta il fontanone del Gianicolo, fu costruito da Traiano captando l'acqua di numerose sorgenti ai bordi del lago di Bracciano.

L'ultimo grande acquedotto è stato l'Alessandrino, che aveva le sorgenti a Pantano Borghese sotto Colonna, e portava l'acqua a Roma con 24 km di archi in laterizio; il tratto più spettacolare lo si attraversa a viale P. Togliatti.


Adesso se vuoi puoi tornare ai monumenti del Parco archeologico della via Latina.

Oppure puoi proseguire la visita con l'area di Tor Fiscale e del Campo Barbarico.


Per commenti e osservazioni potete contattarci via e-mail c/o:
caffarella@romacivica.net

Per tornare alla home page:
Notizie su IX Circ.ne, Caffarella, Appia Antica e Tang. Est


copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 12 maggio 1999