Il Parco archeologico della via Latina


Il primo tratto del Parco archeologico della via Latina

Passato l'incrocio con via Appia Nuova, imboccando via dell'Arco di Travertino, sul lato destro di questa troviamo il Parco archeologico della via Latina; il parco segue per circa 450 metri l'antico percorso della via Latina, ed è uno dei pochissimi tratti che hanno conservato il loro aspetto originario.

La scoperta di questo luogo la dobbiamo a Lorenzo Fortunati, un privato cittadino che tra il 1857 ed il 1858 eseguì a proprie spese i lavori di scavo. Il completamento dell'indagine fu invece realizzata da Pio IX, mentre dell'esproprio dei terreni ai Barberini si occupò lo Stato italiano nel 1879, subito dopo l'unità d'Italia. Successivamente i restauri proseguirono sotto la direzione di Rodolfo Lanciani, e finalmente l'area fu destinata a parco per iniziativa del ministro Baccelli agli inizi del '900.

Purtroppo a tutt'oggi non siamo riusciti né ad ampliare questo straordinario parco archeologico né a proteggere le rovine da furti e distruzioni: basti come esempio l'occultamento nel 1964 di parte della villa di Demetriade per far posto ad un campo di calcio.

Dopo l'ingresso, sulla destra della strada, si staglia l'alto nucleo in calcestruzzo di tufo di un sepolcro a dado, dal quale è scomparso tutto il rivestimento esterno. Si riconoscono facilmente i vari strati di calcestruzzo, corrispondenti ai blocchi di materiale nobile che rivestivano la tomba; su un lato una iscrizione ricorda gli scavi del Fortunati:

PIO IX PONTIFICI MAXIMO
XII KALendis MAI ANno CHRisti MDCCCLVIII
SCIENTER LVSTRANTI
BASILICAM STEPHANI PROTOMARTYRIS
CVIVS A SAECVLIS VIX NOMEN SVPERERAT
VIAM LATINAM SEPVLCRA COLVMBARIA COEMETERIA
RELIQVAMQVE MONVMENTORUVM SEGETEM
OMNIA SVB TERRAM CONDITA ET IN APRICVM PROLATA
LAVRENTIVS FORTVNATI INVENTOR
Devotis Numini Maiestati Que Eius

Subito dopo troviamo il cosiddetto "sepolcro Barberini", all'interno del quale fu rinvenuto un famoso sarcofago raffigurante il mito di Protesilào e Laodamìa.


Il mito di Protesilao e Laodamia

La leggenda racconta che Protesilao, principe della Tessaglia, fu il primo a morire tra tutti i partecipanti alla guerra di Troia; ma la moglie Laodamia, dalla quale Protesilao era partito proprio il giorno delle nozze, divenne così disperata da commuovere Plutone e Proserpina, che permisero a Protesilao di risalire dagli inferi per passare un'ultima notte con lei; tuttavia il giorno seguente Laodamia, per non abbandonare il marito, si uccise.

Il sarcofago scoperto all'interno della tomba Barberini (ora ai Musei Vaticani, nella seconda sala sul lato sinistro della Galleria dei Candelabri) raffigura questo mito.

Le scene sono rappresentate in quest'ordine: sul lato sinistro vi è Protesilao che lascia la moglie per recarsi alla guerra di Troia. Nella facciata, da sinistra, sono scolpiti lo sbarco dei Greci in terra troiana, Protesilao a terra ucciso dai Troiani, quindi l'anima di lui che, avvolta nella veste funebre, è accolta da Mercurio, e infine Mercurio che accompagna Protesilao dalla moglie. Al centro sono Protesilao insieme a Laodamia; i volti di entrambi sono solo abbozzati, per consentire in un secondo tempo di raffigurarvi il ritratto dell'acquirente del sarcofago. Continuando la descrizione, abbiamo una scena con Laodamia sul letto, l'ombra del marito defunto, ed il suocero Ifido che piange sulla sponda del letto; intorno si vedono alcuni arnesi per il culto, a dimostrare che Laodamia, per riavere il marito, non aveva trascurato i rituali della religione ufficiale; infine si vede Protesilao riaccompagnato da Mercurio negli inferi, e Caronte con la nave che li attende sulla riva dello Stige.

Per finire, sulla parete destra del sarcofago vi sono tre personaggi che simboleggiano le pene infernali: Sisifo rotola una pietra che non giungerà mai sulla cima della montagna, Issione gira legato ad una ruota infuocata, e Tantalo cerca di bere ma l'acqua gli sfugge dalle mani.

La raffigurazione del mito di Protesilao e Laodamia, che simboleggia specificatamente la fedeltà coniugale, fa pensare che l'antico proprietario del sepolcro Barberini fosse molto legato alla moglie.

Il sepolcro Barberini

Il sepolcro Barberini è un edificio a tre piani costruito con la tipica tecnica delle tombe laterizie a tempietto.

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l'architettura funeraria romana

schema del sepolcro Barberini
Schema costruttivo del sepolcro Barberini

Nel piano seminterrato vi è la camera funeraria (cioè il luogo in cui sono conservati i resti dei defunti), dove fu rinvenuto il sarcofago con il mito di Protesilào e Laodamìa; l'interno è illuminato dalla finestra a feritoia che si vede in basso, con lo zoccolo e la piccola architrave di travertino, e dalle finestrelle, protette da un cordolo di stucco, che si vedono ai lati all'altezza del piano di calpestio.

Il piano centrale era utilizzato per i riti funebri, nei quali i parenti banchettavano ricordando il defunto e pensando che questi partecipasse in spirito e che fosse contento della festicciola familiare.

La parete esterna mostra tre aperture murate: le due laterali erano delle finestre rettangolari, mentre la centrale era un riquadro per il titolo sepolcrale, cioè la targa marmorea con l'iscrizione dei nomi dei defunti; la svasatura che si vede sopra ciascuna delle tre aperture conteneva una piattabanda protettiva, cioè un insieme di mattoni messi di taglio che sostituiscono l'architrave.

sepolcro Barberini
Il lato del sepolcro Barberini verso la via Latina

Nel piano superiore compare una sola grande finestra ad arco, in cui era probabilmente collocata la statua del defunto che, affacciata sulla strada, ricordava il morto ai passanti; vista l'ampiezza della finestra, c'è anche chi suppone che vi fosse un triclinio, o una sorta di "terrazza panoramica". Infine in cima si vede il timpano, che sorregge il tetto.

Di particolare effetto cromatico è l'uso del laterizio policromo nel paramento della tomba: uno rossastro (ricavato dalla frantumazione delle tegole) e l'altro giallo (ricavato da mattoni gialli). La tecnica costruttiva e l'accuratezza delle decorazioni, tipiche della seconda metà del II sec. d.C. (cioè dell'età degli Antonini) e indice del massimo virtuosismo raggiunto nell'uso del mattone, pongono la data di costruzione intorno al 160 d.C.

All'interno le pareti sono ornate da nicchie. Il discreto stato di conservazione della tomba si deve al fatto che essa è stata (quasi sempre) abitata da pastori o utilizzata come fienile; ciò ha permesso quel minimo di manutenzione (particolarmente del tetto) che ha prevenuto il crollo.

L'ingresso, come nella maggior parte delle tombe di questo tipo, si trova sul lato opposto alla strada. Lo si raggiungeva, come è stato scoperto durante il restauro del 1999, attraversando uno stretto corridoio scoperto, pavimentato a mosaico, protetto da un basso muro che permetteva la lettura delle iscrizioni dalla strada. Nei corridoi ipogei che circondano la tomba principale la famiglia proprietaria ricavò lo spazio per decine di deposizioni, disposte in arcosoli o in tombe a cappuccina.

sepolcro Barberini
Il lato di ingresso del sepolcro Barberini

Un errore di calcolo degli studiosi del '700 fece confondere questa tomba con il famoso tempio della Fortuna Muliebre che si trovava al IV miglio della via Latina; in realtà qui siamo al III miglio, quindi quel tempio dovrebbe trovarsi approssimativamente dove oggi c'è via del Quadraro.

Il sepolcro Fortunati 25

Sul lato sinistro della via si allineano diversi sepolcri, uno dei quali (denominato "Fortunati 25") conserva in discreto stato la camera funeraria sotterranea; una scala a due rampe permetteva di raggiungere il piano interrato, che era illuminato dalle due finestre a feritoia che si riconoscono sul lato opposto alla scala. La camera, rettangolare, aveva il soffitto costruito con la tecnica della volta a crociera. Le pareti, che erano ricoperte da lastre di marmo, presentano due nicchie per le olle cinerarie, in origine abbellite con delle pitture; sono tuttora visibili tracce di papere, alberi e altri animali.

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le tecniche di costruzione del tetto

Infine sul pavimento si vedono dei muretti che sostenevano dei sarcofagi.

Il basolato della via Latina

Proseguendo si raggiunge un breve tratto di strada antica conservata col suo basolato. Nel tratto su cui siamo ora la sede lastricata è larga 3,8 m, poco meno della larghezza normale.

Il lastricato è come al solito affiancato dalle crepidines: dei basoli messi verticalmente delimitano i marciapiedi in terra battuta, ora invisibili perché ricoperti dall'erba; la distanza dei sepolcri dal ciglio stradale indica comunque che le loro dimensioni dovevano essere di 2 o 3 metri per parte; con essi la larghezza totale è di quasi 10 metri.

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il basolato della via Latina

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l'aspetto di una strada romana

Altri sepolcri e il meccanismo di chiusura della porta

Sul lato sinistro, prima di arrivare al sepolcro dei Pancrazi si vede l'alto nucleo in calcestruzzo di un sepolcro a pilastro, e più avanti le fondamenta di un sepolcro circolare, con camere disposte simmetricamente attorno ad un nucleo centrale; l'ingresso è sul lato opposto alla strada.


Il sepolcro a pilastro

Poco prima del sepolcro dei Valeri, in uno zoccolo di travertino dove era la soglia di qualche edificio, si vedono sia la scanalatura in cui si infilava la porta sia il buco per il cardine, e con un po' di fantasia possiamo ricostruire l'ingegnoso sistema inventato dai Romani per chiudere una grande apertura.

La scanalatura, lunga quanto la soglia, profonda 4,5 cm e larga altrettanto (e che si ripeteva sotto l'architrave), permetteva di inserire delle tavole, che vi venivano fatte scorrere da destra verso sinistra una dopo l'altra. Sul lato destro invece vi era una porticina con cardine che, una volta chiusa, bloccava le altre tavole, permettendo però di entrare e uscire dal locale.

Questo modo di chiudere era tipico degli edifici come le taverne, le terme, i magazzini ecc., i quali avevano bisogno di una grande apertura per dare luce all'interno (infatti in questo tipo di edifici mancavano le finestre); inoltre la porta doveva essere poco ingombrante, per evitare di sottrarre spazio all'interno.

Nel caso delle botteghe poi, questo sistema permetteva di tenere il bancone quasi addossato alla porta, per poter esporre così la merce ai viaggiatori che passavono lungo la strada.

Il sepolcro dei Valeri

Sul lato destro, dopo una serie di strutture minori, si arriva finalmente alla tomba detta "dei Valeri", una delle tombe più spettacolari del parco. Il nome è dovuto ad una iscrizione trovata dalle parti della villa di Demetriade, che ricorda la famiglia dei Valeri ; tuttavia non c'è nessuna prova che la tomba sia appartenuta effettivamente a quella famiglia. Ad ogni modo, gli archeologi hanno preferito usare dei nomi per non dover identificare i sepolcri con le lettere dell'alfabeto (A, B, C ecc).

Il sepolcro seguiva probabilmente lo schema tradizionale delle tombe laterizie del II sec. d.C.; circondava la tomba un "recinto sacro", del quale si vede una ricostruzione nel muro distaccato, con le semicolonne: questo era l'ingresso monumentale che permetteva di entrare nell'area sepolcrale.


Il sepolcro dei Valeri

La parte superiore del sepolcro, dove si svolgevano le cerimonie e i conviti funebri, è stata completamente ricostruita dall'architetto F. Fontana tra il 1859 e il 1861, sia per motivi architettonici, sia soprattutto per proteggere gli stucchi che si trovano nella parte inferiore. Alla base, per circa un metro a partire dal livello del terreno, è comunque possibile riconoscere i muri originali, in laterizio e opera reticolata, mentre delle due colonne è autentica solo quella in marmo cipollino (marmo di colore che va dal bianco-verde al verde scuro, a fasce striate parallele, proveniente dalla Grecia).

Accanto all'ingresso ricostruito due scale laterali conducono alla camera funeraria, formata da un atrio e da due camere funerarie opposte. L'atrio è un piccolo cortile seminterrato a cielo aperto, dal quale entrano la luce e l'aria per i vani del sottosuolo; nel pavimento vi è una fossa per raccogliere l'acqua piovana e salvaguardare le sepolture dall'umidità.

La camera funeraria più grande è quella sotto la tomba, di fronte alla quale ce n'è un'altra più piccola, utilizzata solo in un secondo momento quando la principale venne riempita di sarcofagi; entrambe sono coperte con la tecnica della volta a botte.

Questa è una tomba famigliare: infatti sulla parete di fondo della camera principale c'è una base rialzata, sopra la quale doveva trovarsi un grande sarcofago, probabilmente del capofamiglia. Le pareti della camera erano tutte rivestite di marmo fino ad altezza d'uomo (come si può vedere dalle impronte lasciate nell'intonaco) sia per decorazione sia per protezione delle pareti. Si sono conservati la soglia, l'architrave e gli stipiti della porta, tutto in marmo bianco.

La parte più spettacolare è la decorazione della volta: tanto il soffitto quanto le lunette presentano uno spettacolo festoso tutto in stucco bianco e medaglioni, in cui si vedono menadi (fanciulle invasate) e satiri (divinità dei boschi) che danzano assieme a pistrici (animali marini favolosi) e nereidi (ninfe marine).

Al centro del soffitto è raffigurata una figura femminile velata, trasportata sul dorso di un grifone (animale mitico con le ali, dalla testa di aquila e dal corpo di cavallo); questa immagine simboleggia l'anima del defunto trasportata in cielo.

Nella lunetta sopra l'ingresso è raffigurata una nereide sopra un pistrice, mentre nella lunetta di fronte all'ingresso ci sono tre figure danzanti; tutti questi soggetti mitici ballano come folletti, per dare un'idea del mondo beato dell'aldilà, che si immaginava oltre l'Oceano. Infatti gli antichi credevano che l'anima del defunto, se in vita era stato buono, trasmigrava nel paradiso dei beati, dove veniva accolta da queste divinità fantastiche, buone e liete, eternamente in festa.

Le nereidi, in particolare, sono gli spiriti divini che accompagnano le anime dei morti, e hanno più o meno lo stesso compito dei nostri angeli custodi (o delle Uri nella tradizione musulmana); questo mostra quanti residui del paganesimo ancora sopravvivono ai nostri giorni.

Scarsi i resti rinvenuti nella tomba: alcuni elementi marmorei di decorazione architettonica e frammenti di un sarcofago con la raffigurazione del mito di Ercole.

Il sepolcro si può datare, sulla base della struttura e dei materiali trovati (tra cui un bollo di mattone del 159 d.C.), all'inizio del regno di Marco Aurelio (160-170 d.C.).

L'albergo

la via Latina e l'albergo accanto al sepolcro dei Valeri

I resti di un albergo con tanto di fontana, ninfeo e impianto termale sono nascosti sotto i dossi di terreno erboso attorno al sepolcro dei Valeri. Questa struttura serviva i viaggiatori che, ormai in vista di Roma, desideravano farsi un bagno e una dormita. Le stanze erano disposte intorno ad un peristilio con al centro una grande vasca e nel lato di fondo un ninfeo con pavimento a mosaico.

Accanto alla strada due pilastri (che anticamente dovevano sostenere delle statue) delimitano l'ingresso dell'albergo, dove era la ricezione; in questo punto i basoli salgono sopra il marciapiede, a costituire il "passo carrabile" dell'albergo.

L'ingresso dell'albergo
L'ingresso dell'albergo

Dietro il sepolcro dei Valeri si vede, ad un livello inferiore rispetto al piano di calpestio, il pavimento a mosaico (assieme al condotto per l'acqua) di una delle stanze termali del complesso, nonché due cisterne destinate all'approvvigionamento idrico; di queste una (in calcestruzzo e scaglie di selce) è lunga ben 19 metri. Sul retro, una sorta di terrazza panoramica permetteva di banchettare godendo la vista della campagna dall'Appia Antica fino ai Colli Albani.

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La presenza di un albergo sul fianco di un sepolcro ci fa capire il differente rapporto che gli antichi Romani avevano con la morte; infatti, mentre noi a volte con poca educazione facciamo gli scongiuri quando incontriamo un carro funebre, al contrario loro avvertivano un grande sentimento di continuità tra la vita e la morte, per cui non faceva nessuna impressione fare il bagno accanto ad una tomba. Anzi, gli scavi più recenti indicano che l'albergo era gestito direttamente dalla famiglia proprietaria del fondo, che ne ricavava soldi per la manutenzione del sepolcro.

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Il sepolcro Baccelli

Subito dopo questo sepolcro c'è un'altra tomba in laterizio, di cui però rimane solo la facciata, essendo tutto il resto crollato nel 1959; una targa ricorda la visita del parco fatta all'inizio del secolo dall'allora ministro Baccelli.

PIO IX PONTIFICI MAXIMO
XI KALendis DECembris MDCCCXCIX
HVMBERTI I REGIS NOMINE
GVIDO BACCELLIVS
PVBLICIS STVDIIS MODERANDIS PRAEFECTVS
QVVM IAM RERVM RVSTICARVM DISCIPLINA
PVERILEM IPSAM AETATEM IMPERTIRI IVSSISSET
IN AGRO LATINAE VIAE SEPVLCRIS INSIGNI
VT SPES NOVA ET BONA PRAELVCERET IN POSTERVM
MARGARITAE REGINAE AVGVSTAE
OMINE ET PRAESENTIA
VRBANIS ALVMNORVM VTRIVSQVE SEXVS COHORTIBVS
D ARBORES SERENDAS MANDAVIT


Il sepolcro dei Valeri con dietro il sepolcro Baccelli

Questa tomba, probabilmente costruita in cooperativa, seguiva il solito schema delle tombe a tempietto del II sec. d.C., con la camera funeraria sotterranea destinata alle sepolture, il piano terra per i riti funebri e la soprelevazione per farla spiccare sul paesaggio. L'ingresso, che come al solito non è sulla via Latina, dava su una stradina che puntava verso la via Appia Antica, forse la stessa che, valicando l'Almone all'altezza della torre-ponte, costeggiava il colombario ipogeo rinvenuto nel 1990 di fronte a S. Urbano (ora ricoperto). Di questa stradina ne riparleremo più avanti.


Il sepolcro Baccelli

La camera funeraria è di un tipo diverso da quelli visti finora: essa è del genere a loculi sovrapposti per inumati, e contiene infatti tre strati di deposizioni, disposti su due file.

Il sepolcro, del quale dobbiamo notare l'eleganza della decorazione in laterizio policromo, era utilizzato nel '500 come chiesa, circostanza che spiega il buon stato di conservazione per lo meno fino al crollo.

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Il sepolcro dei Pancrazi

Di fronte al sepolcro dei Valeri, una costruzione di cemento nasconde e protegge i resti di un altro monumento funerario. Della costruzione originaria non rimangono che tracce di muro non più alte di un metro (su cui si è innestata la muratura attuale), ma la tecnica costruttiva utilizzata, in opus reticulatum con ricorsi di mattoni, contribuisce a collocare la datazione all'età adrianea (110-130 d.C.); in seguito il laterizio diverrà pressoché l'unico materiale costruttivo utilizzato. La tomba era probabilmente del consueto tipo a tempietto.

La visita del monumento comincia con la sala superiore, quella all'altezza del piano di calpestio, che si presenta con due camere separate da un muro antico, in opera cementizia e intonacato, che attualmente si eleva dal terreno per non più di 50 cm. Qui è collocato vario materiale archeologico, tra cui due sarcofagi di terracotta privi di decorazioni, forse di quelli rinvenuti dal Fortunati nelle camere sotterranee. Il pavimento pende verso il fondo delle due sale (dove un tubo di piombo scaricava l'acqua nella villa retrostante) e risulta completamente rivestito di mosaico: proprio di fronte all'entrata si possono osservare due riquadri a tesserae bianche e nere che rappresentano scene marine con pesci di varie grandezze immersi nell'acqua resa tramite bande nere ondulate; la sala in fondo invece è rivestita solamente da mosaico bianco.

Se si presta un po' di attenzione, all'estremità sinistra dei riquadri marini si può notare che questi ultimi si sovrappongono al pavimento privo di decorazioni che compare più in fondo, dimostrando così di appartenere ad un periodo più tardo. Sulla destra, una scala conduce ad un cunicolo indipendente.

Un lucernario, tagliato nel pavimento già dall'antichità, collega la sala superiore a quelle inferiori; è proprio da qui che L. Fortunati si inoltrò al momento della scoperta della tomba.


Il sepolcro dei Pancrazi

Il piano inferiore è composto da due ambienti nei quali si rinvennero numerosi sarcofagi; per raggiungerli, a sinistra dell'ingresso si scende la scala originaria. Il primo ambiente, coperto con la tecnica della volta a botte, è il cortile scoperto che dava aria e luce alla camera funeraria (ma che ora è coperto dalla tettoia); il pavimento, decorato da un mosaico, è in lieve pendenza verso un pozzo profondo ben 75 m destinato a raccogliere le acque piovane.

Quando il cortile fu scoperto, 5 sarcofagi erano appoggiati sul bancone in laterizio sostenute da archetti, la cui funzione era proteggere i sarcofagi dall'umidità del terreno; quattro sarcofagi sono stati portati ai Musei Vaticani, mentre il quinto è rimasto al suo posto di fronte alla scala; è bisomo (cioè per due persone) del tipo a cassa strigilata, cioè con la fronte ornata a serpentina: un genere stilistico molto diffuso tra il III e il IV sec. d.C.; al centro sono raffigurati i due coniugi Demetrianus e Vivia Severa, mentre in basso una iscrizione ricorda il collegio funeratizio dei Pancrazi.

Caius SERVENIVS DEMETRIVS
MARii Filius VIVIAE SEVERAE
VXORI SANTISSIMAE ET
MIHI Quae BIXIT MECVM AN
NIS XXII MENSibus VIIII DIES V
IN QVIBVS SEMPER MIHI
BENE FVIT CVM ILLA
PANCRATI HIC

Il sarcofago non offre molto interesse dal punto di vista artistico, ma ci è utilissimo per ricostruire la storia probabile di questa tomba.


Il sarcofago che ricorda il collegio dei Pancrazi

I Pancrazi dovevano infatti essere l'impresa proprietaria del sepolcro quando il sarcofago vi fu collocato (dunque tra il III e il IV sec. d.C.); essi acquistarono questa tomba forse dai discendenti di colui che l'aveva costruita più di un secolo prima, e la riadattarono per accogliere altri sarcofagi (all'interno del pozzo il Fortunati trovò i frammenti di un'iscrizione con i nomi di 11 persone); segni dei lavori di riadattamento sono probabilmente sia il mosaico con i pesci, sia gli affreschi con pavone, anatre e cesti di frutta sotto il bancone laterizio, databili al III sec. d.C. in base al genere stilistico. Le pitture della camera, ancora ben visibili nel 1861, sono oggi quasi completamente scomparse; si riconoscono i resti evanescenti di piante e animali, tracce di paesaggi e figure umane.

Attraverso una porticina si entra nella tomba vera e propria, dove erano collocati ben 8 sarcofagi, sette dei quali sono ora ai Musei Vaticani. L'unico rimasto è un gigantesco sarcofago di marmo greco non levigato, senza nessuna decorazione tranne il coperchio a doppio spiovente con quattro acrotèri scolpiti che ornano gli angoli. Purtroppo non è rimasta nessuna iscrizione che indichi a chi fosse appartenuto.

Il sarcofago, così grande da non passare attraverso la porta, è stato evidentemente collocato qui prima che la tomba fosse costruita; con questo accorgimento il proprietario ebbe la certezza che nessuno glielo avrebbe mai rubato, e gli stessi archeologi pontifici sono stati costretti a lasciarlo al suo posto. Anche il pavimento, costituito da un mosaico bianco e nero con decorazione a squame, mostra di essere stato eseguito dopo la collocazione del sarcofago.

La parte veramente spettacolare è però la grande volta a crociera, decorata con pitture e stucchi policromi che si sono conservati in modo straordinario; vi sono rappresentate scene famose dell'iconografia greca e romana che si ritrovano in molti affreschi (ad es. a Pompei) e rilievi di sarcofagi, e il risultato è un complesso intreccio mitologico.


Le decorazioni della volta

Entrando, nella parete di fronte all'apertura d'ingresso, è raffigurato il famoso giudizio di Paride: Paride, con un berretto frigio sulla testa, è raffigurato seduto mentre pensa a chi consegnare il premio, mentre Mercurio gli indica le tre dee (Venere nuda, Minerva con l'elmo e dietro Giunone, matronale e seduta).

Nella parete opposta (cioè dalla parte dell'ingresso) è raffigurato l'episodio narrato nel XXIV libro dell'Iliade in cui Priamo si reca con molti doni da Achille a riscattare il corpo del figlio Ettore. La scena mostra Priamo, col berretto frigio, che si inginocchia davanti ad Achille (a destra, seduto su un seggio e con due guerrieri a lato), mentre a sinistra si vede il carretto coi doni.


Particolare della divisione delle scene

Altre due scene sono raffigurate nelle pareti laterali: a sinistra una gara musicale tra Ercole deificato nell'Olimpo dopo la morte e un satiro che suonano da una parte mentre Minerva, Diana, Dioniso ed un'erma di Apollo ascoltano dall'altra (questa scena è l'unica che manca di confronti in altri monumenti, e sembra essere stata inventata dall'artefice della decorazione); a destra il mito di Alcesti: lo stucco mostra il re Pelia seduto sulla destra, dietro al quale si trova la figlia Alcesti vista di fronte; davanti Apollo presenta dietro di sé Admeto sul carro trainato dal leone e dal cinghiale.

Sotto ogni lunetta, in una prospettiva architettonica con colonne in stucco e soffitti a cassettoni dipinti, troviamo tre personaggi.


Particolare di una delle colonne che suddividono i quadri

Sotto il giudizio di Paride è rappresentata una gara musicale tra Apollo e Bacco con la barba, con al centro la Vittoria che darà la palma al vincitore; Bacco giovane e Mercurio sono sull'ingresso, ai lati di una finestrella tagliata già nell'antichità, ma che probabilmente all'inizio presentava una figura anch'essa; sotto il mito di Alcesti si vede Achille tra due guerrieri (che somigliano molto a quelli del rilievo con Achille e Priamo).


Stucco di un guerriero

Infine, sotto la gara musicale tra Ercole e il satiro, sono raffigurati Ulisse, Diomede e Filottete ferito. Diomede solleva il "Palladio", ossia una statua raffigurante Pallade Atena con scudo e lancia; secondo la leggenda, la statua aveva la proprietà di difendere una città fintantoché essa vi era ben custodita; per questo il Palladio di Troia fu rapito da Ulisse e Diomede, così da favorire la vittoria dei Greci.


Diomede e Filottete ferito

Proseguendo nella descrizione degli stucchi, in alto il tondo centrale raffigura un Giove con la folgore trasportato dall'aquila (la folgore è quell'oggetto con l'impugnatura al centro e i due tortiglioni che escono di lato).


Il motivo che segue la volta

Infine, la volta è completata da un'infinità di altre figure dipinte e stuccate, tra cui si riconoscono animali mitici e non, lotte di centauri e leoni, elementi floreali di delicata fattura, satiri, menadi, amorini, paesaggi sacro-idillici con caratteri quasi "impressionistici".


Raffigurazione di due animali

La folla di elementi e personaggi della sfera divina ed eroica nascondono sicuramente un unico disegno, che probabilmente voleva mostrare la fedeltà coniugale e l'esaltazione della figura del defunto, sia nelle sue imprese "eroiche", sia nel destino ultraterreno, assurto tra gli dei nel paradiso dei beati insieme agli eroi mitologici o agli imperatori coevi.


Particolare con gli amorini

Questa tomba eccezionale si è così ben conservata perché restò sepolta fino agli scavi del Fortunati; successivamente le infiltrazioni d'acqua hanno cominciato purtroppo a sbriciolare gli stucchi; infatti, osservando attentamente gli angoli, si riconoscono frammenti in alto rilievo delle quattro stagioni che, a parte un po' di panneggio ai piedi, sono ormai andate perse per questo motivo.

Ai danni provocati dall'umidità vanno anche aggiunti quelli dovuti a un ladro che, alcuni anni fa, ha irrimediabilmente danneggiato alcune figure nel tentativo di rubarne la testa.

Sorge infine il problema della datazione e della proprietà del sepolcro: la presenza del grande sarcofago e delle ricche (e molto costose) decorazioni della sala degli stucchi, oltre che di tre sarcofagi in marmo istoriati (sempre costosi) oggi ai Musei Vaticani, fanno ritenere che inizialmente il sarcofago fosse proprietà di personaggi di una certa levatura sociale. Le differenze di stile tra tutti gli affreschi, stucchi, mosaici e sarcofagi rivelano inoltre un arco temporale di vita e frequentazione del sepolcro di quasi due secoli, se non di più. La contiguità del sepolcro con la villa di Demetriade, e la presenza di collegamenti con essa, ha fatto ipotizzare l'appartenenza del monumento, sin dalla sua costruzione (tra il 110 ed il 130 d.C), agli stessi proprietari della villa (forse la famiglia dei Valeri Paullini); dopo una serie di vicissitudini, ipotizzabili dalle numerose iscrizioni rinvenute nella villa, parte del sepolcro fu acquistato dal collegio dei Pancrazi almeno 120-150 anni dopo la sua costruzione.

Il mito di Alcesti

Il re Pelia aveva una figlia, Alcesti, di cui era gelosissimo e che non voleva dare in sposa a nessuno; infatti stabilì che solo chi avesse aggiogato sia un leone che un cinghiale ne avrebbe ottenuto la mano; in questa impresa riuscì solo Admeto, re di Tessaglia, un eroe degli Argonauti.

In seguito, avvenne che ad Admeto un oracolo predisse la morte, che però avrebbe potuto evitare se qualcuno avesse voluto sostituirlo.

Allora Admeto, disperato, andò sia dagli amici, che lo presero per matto, sia dai vecchi genitori, che sebbene anziani non erano disposti a rinunciare al piacere di vivere; infine chi si sacrificò per lui fu la moglie Alcesti. Tuttavia, secondo la leggenda, Ercole attese Thanatos (la Morte) presso il sepolcro di Alcesti, e, dopo averla sconfitta, restituì la donna al marito.

Questa storia, che è anche l'antefatto della famosa tragedia di Euripide, è spesso rappresentata nei sarcofagi come simbolo di fedeltà coniugale.

Il sepolcro dei Calpurnii

Prima di abbandonare il sepolcro dei Pancrazi vale la pena di notare che intorno vi sono resti di muri in opera reticolata, appartenenti alla costruzione più antica; l'opera reticolata è un tessuto perfettamente regolare di blocchetti di tufo a forma di cuneo a base quadrata, che creano una trama a forma di rete. Sono poi riconoscibili dei restauri del V - VI secolo e un pezzo di pavimento in "opus spicatum", composto cioè da mattoni rettangolari collocati a spina di pesce.

Nel prato accanto al sepolcro dei Pancrazi si vede un'altra tomba, attribuita ai Calpurnii, con una grande camera coperta da volta a crociera senza decorazioni; il sepolcro è chiuso da un cancello, e tutto ciò che si vede è la scala di ingresso e una finestra a feritoia che illumina l'interno.

I resti sepolti nel Parco archeologico della via Latina

Il Parco archeologico della via Latina è stato scavato accuratamente dal Fortunati, per cui conosciamo esattamente cosa nasconde il sottosuolo; già davanti all'ingresso è sepolto un ampio pavimento a mosaico bianco con riquadrature nere. Sul lato sinistro sono sepolti: un colombario con resti di pitture sulle pareti; tombe scavate nel tufo e tombe a cappuccina (cioè tombe scavate nel terreno e coperte da tegole); un sepolcro in laterizio, di cui si vede l'arco di scarico che sosteneva i piani superiori nonché la soglia di tufo; cunicoli vari; colombario con attaccata una catacomba cristiana; tracce di sepolcri.

Siamo così arrivati alla tomba "Fortunati 25"; proseguendo si trovano: due camere funerarie sotterranee in laterizio, illuminate da finestrelle; ipogeo con scala a tre rampe; dopo il sepolcro a pilastro ce n'è un altro quadrato all'esterno e con quattro archi all'interno; dopo il sepolcro circolare ne troviamo uno in laterizio e opera listata. Dopo il sepolcro dei Pancrazi c'è una piccola catacomba con 40 loculi, e poi ancora un gruppo di catacombe.

Sul lato destro, dopo il grosso sepolcro a dado, sono interrati una tomba e un colombario; un pavimento a mosaico con al di sotto una camera (forse una cisterna); una casa composta di più stanze, con pitture, nicchie per statue e pavimento a mosaico. Prima del sepolcro dei Valeri sono ancora sepolte varie stanze; dopo l'albergo sono segnalati i resti di un colombario con pezzi di colonne e due ambienti in opera reticolata; infine, dopo il sepolcro Baccelli sono sepolte alcune tombe ed una catacomba.

La villa di Demetriade e la basilica di S. Stefano

Adesso se vuoi puoi tornare ai monumenti del secondo miglio della via Latina.

Oppure puoi proseguire la visita al Parco archeologico della via Latina con la villa di Demetriade e la basilica di S. Stefano.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 7 maggio 1999