La valle della Caffarella: I parte


La valle dell'Almone

I confini "naturali" della valle dell'Almone sono le Mura Aureliane, la via Latina e la via Appia Antica. A Sud invece la valle è chiusa da via dell'Almone; questa strada, che delimita il Parco della Caffarella, fu costruita due secoli fa per collegare il forte Appio col forte Prenestino, e per questo motivo era conosciuta anche col nome di via Militare.

Proprio in via dell'Almone ci sono le sorgenti dell'Acqua Santa, un'acqua acidula medio-minerale sfruttata per fare i bagni già in età romana; la fonte, riscoperta solo nel XVI sec., fu potenziata dai vari papi fino al secolo scorso.

Le acque, insieme ai ruscelli vicini, si raccolgono al centro della valle, percorrono tutta la Caffarella, passano sotto la via Appia Antica accanto alla ex Cartiera Latina, e infine vengono convogliate nel collettore diretto al depuratore di Roma-Sud (mentre prima si gettavano nel Tevere all'incirca all'altezza del Gazometro); il corso d'acqua principale si chiama Almone e, come tutti i fiumi, le sorgenti e le manifestazioni naturali, veniva identificato dagli antichi Romani con uno spirito divino, in questo caso con il dio Almone, che dava acqua o siccità a suo piacimento.

fiume Almone
L'alveo del fiume Almone

Il fiume Almone era protagonista di un importante culto di origine orientale, la "Lavatio Matris Deum", che si svolgeva il 27 marzo di ogni anno proprio dove le acque sfociano nel Tevere: dal tempio sul Palatino, una solenne processione portava la pietra sacra alla Magna Mater (la dea Cibele) fino all'Ostiense, e lì si purificavano l'immagine e gli arnesi del culto nell'acqua dell'Almone. L'importante cerimonia durò fino al 389 d.C., anno in cui fu abolita per incompatibilità con la religione cristiana.

Almone e la Magna Mater

Almone è una divinità minore della mitologia romana, ed è ricordato nell'Eneide come il primo eroe indigeno morto nella guerra tra i Troiani ed i Latini; tuttavia la connessione del fiume Almone con il culto della Magna Mater avvenne per un motivo apparentemente estraneo.

Il culto della Magna Mater ebbe infatti origine al tempo della II guerra punica, quando i Romani, terrorizzati dalle scorrerie di Annibale, trovarono una profezia nei Libri Sibillini secondo la quale: "Se un nemico straniero avrà portato la guerra in Italia, sarà cacciato e vinto solo se la Magna Mater (cioè Grande Madre) sarà trasportata da Pessinunte a Roma".

Immediatamente i Romani inviarono una missione a Pessinunte (in Turchia), nel regno di re Attalo, alleato dei Romani e ad essi legato dalla leggenda delle comuni origini troiane (oltreché da coincidenti disegni politici contro la lega fra Annibale e Filippo il Macedone).

Così, dal grande tempio della Magna Mater gli ambasciatori riportarono a Roma una pietra sacra (forse un meteorite) da collocare nel tempio costruito appositamente sul Palatino.

Tuttavia (così narra la leggenda) la nave che trasportava la pietra, appena giunta alla confluenza del Tevere con l'Almone, si incagliò, e solo dopo un grande rito di purificazione fu possibile farle riprendere la navigazione; da allora ogni anno fu ripetuta la cerimonia lustrale.

Tra gli storici è ancora dibattuto come un culto così lontano possa essere stato introdotto proprio al centro della città; il motivo dovrebbe essere la venerazione tributata alla Magna Mater nella città di Troia, il che avrebbe reso la divinità non straniera, in quanto appartenuta agli stessi fondatori di Roma.

La cisterna di via Macedonia

In entrambi i versanti che delimitano la valle dell'Almone esistono numerose cisterne romane che servivano per l'irrigazione del fondovalle; tra via Bitinia e via Macedonia c'è la più grossa: è un grande edificio rettangolare (le dimensioni sono di circa 11x30 metri), in opus signinum e scaglie di selce, la cui facciata, alta 8 metri, è rafforzata da otto grandi speroni esterni, e il cui interno è composto da quattro ambienti intercomunicanti coperti con la tecnica della volta a botte; al di sopra vi era una villa antica di cui oggi restano solo poche tracce.

cisterna di via Macedonia
La cisterna di via Macedonia

Approfondisci:
le tecniche di costruzione del tetto

La cisterna serviva probabilmente una villa che si trovava da queste parti. Può essere interessante sapere che proprio ai suoi piedi sono stati ritrovati negli anni '50 del secolo scorso scheletri di coccodrillo, forse scaricati lì dopo qualche spettacolo degli antichi Romani; tali scheletri furono però gettati via per incuria o distrazione, e quindi non si ebbe modo di studiarli come avrebbero meritato.

Il casale a torretta

Casale a torretta
Casale a torretta

Accanto alla cisterna, sul prolungamento di via Macedonia, troviamo un casale sopraelevato con una torretta, con tre corpi intorno ad una corte centrale; nelle pareti sono cementati numerosi frammenti di vari sarcofagi. Gli edifici sono databili dal medioevo sino al XIX secolo.

La Caffarella

Numerosi sono gli ingressi che permettono di accedere alla Caffarella (via della Caffarella, via Appia Pignatelli, via dell'Almone, via Latina, via De Bildt, via Centuripe ecc.), ma noi consigliamo di entrare da via di Vigna Fabbri, per godere da una collinetta il panorama di tutto il comprensorio.

Sopra la collina troviamo una enorme cisterna rotonda a cielo aperto, che serviva probabilmente all'irrigazione dei campi sottostanti, o forse all'allevamento di pesci d'acqua dolce. Questo non deve sorprendere: una grande importanza nelle ville suburbane aveva l'azienda destinata all'allevamento e alla custodia di uccelli, lepri, e anche pesci d'acqua dolce e salata, che rifornivano i grandi banchetti pubblici e le mense dei privati, secondo gli usi dei tempi.

La cisterna era alimentata con acqua piovana, che gli antichi Romani ritenevano più salubre dell'acqua sorgiva, al punto di raccogliere la pioggia dai tetti delle case per poi conservarla dentro delle vasche.

Girolo
Girolo

La caratteristica forma rotonda della cisterna diede nel Medioevo il nome di "Girolo" a tutta la zona; la costruzione, in opus signinum e scaglie di selce, è effettivamente gigantesca: il muro perimetrale infatti, alto 3,10 m e spesso 51 cm, aveva un diametro interno di quasi 30 metri; oggi, dato il totale stato di abbandono, ne rimane in piedi solo una piccola parte.

Il casale Tarani

Casale Tarani
Casale Tarani

Ai piedi della collina spicca l'imponente facciata del casale Tarani, un edificio costruito nel '600 per uso agricolo. Più o meno al centro della facciata, in bella evidenza, si vede lo stemma dei Torlonia, proprietari della valle sin dal 1816; il marchese Alessandro Gerini, scomparso nel 1994, ne era l'ultimo erede diretto.

La cisterna-fienile dei Torlonia

cisterna-fienile

Il rudere diroccato che si vede più in basso, di dimensioni interne 12,50 x 3,85 m, era forse un fienile o una stalla; se però si guarda con maggiore attenzione, ci si accorge che fu costruito proprio sui resti di un'altra cisterna, in calcestruzzo e scaglie di selce (ne restano le pareti fino all'altezza di 1,5 m), che serviva all'irrigazione del fondovalle.

La villa romana sotto via De Bildt

La cisterna probabilmente serviva anche la villa romana che si intravede all'angolo tra via della Caffarella e via De Bildt; di questa villa, venuta alla luce nel 1977 durante gli scavi per la costruzione di un palazzo, sono state trovate alcune stanze in opera reticolata, ma ora esse sono coperte da rovi ed immondizia, ed è difficile riconoscerle.

villa romana sotto via De Bildt
La villa romana sotto via De Bildt

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la storia della Caffarella

La torre della Vaccareccia

La valle della Caffarella assunse questo nome alla metà del XVI secolo quando divenne proprietà dei Caffarelli, un'antica famiglia romana che risiedeva in un grande palazzo sul Campidoglio (c'è ancora oggi, di fronte al Teatro di Marcello).

I Caffarelli ricondussero l'ameno complesso di valli, boschi e declivi, ricco di vestigia storiche, ad un'unica e funzionale azienda agricola; al centro della tenuta fu costruito un grande casale agricolo (la Vaccareccia), che già compare nella carta del Lazio di Eufrosino della Volpaia datata 1547.

Nel casale venne inglobata una torre medievale. La torre, costruita nel XIII-XIV secolo con blocchetti di tufo parallelepipedi e scaglie di marmo, era in origine molto più alta, per controllare tutta la tenuta fino alla via Latina; presenta delle aperture al livello del primo e del secondo piano del casale, per cui, pur presentandosi attualmente completamente vuota all'interno, potrebbe essere stata utilizzata dopo la realizzazione del casale per il collegamento tra il piano superiore e gli ambienti inferiori interrati, nei quali alcune cisterne romane erano state riadattate a magazzini e ricoveri per gli animali.

Approfondisci:
le torri medievali

La Vaccareccia e la storia moderna della valle

Vaccareccia
Il casale della Vaccareccia (1547)

La Vaccareccia, nella parte superiore, presenta una grande aia con un bel portico su colonne antiche; di lì si può entrare nella casa dei contadini, col tetto a spiovente, la loggia del '500 e il fienile, in un unico corpo rinforzato da robusti muri di sostegno.

Nel 1695 i Caffarelli vendettero il fondo ai Pallavicini, i quali, nel 1816, cedettero la proprietà ai Torlonia, che ristrutturarono la Vaccareccia (aggiungendo la grande stalla lungo uno dei lati dell'aia) e bonificarono il fondovalle per l'ultima volta. Numerosi edifici mostrano lo stemma della casata, raffigurante una corona che sovrasta due comete.

Di fronte alla Vaccareccia vediamo un bel fontanile; anche su di esso era lo stemma dei Torlonia insieme con un gran mascherone, ma mentre il primo è stato rubato negli anni '70 del secolo scorso, il mascherone è stato distrutto venti anni dopo durante la posa di un cavo elettrico.

fontanile
Il fontanile di fronte alla Vaccareccia

Nel secolo scorso la Caffarella era sfruttata intensivamente anche per l'estrazione di pozzolana: tutte le grotte che si incontrano sulle colline sono le cave di pozzolana con cui è stata fabbricata la Roma umbertina; per questo motivo le sommità delle colline appaiono oggi molto rovinate.

Col passare degli anni il materiale è scivolato verso il basso fino ad interrarsi, quindi, mentre le parti alte della valle non dovrebbero più riservare sorprese, il fondovalle è ancora tutto da esplorare con uno scavo archeologico sistematico.

Fino alla fine degli anni '90 le cave che non erano pericolanti o otturate sono state usate come fungaie.

Agricoltura in Caffarella

Durante l'Impero, Roma aveva una popolazione superiore al milione di abitanti, quindi uno dei problemi maggiori era quello dell'approvvigionamento alimentare. Mentre il grano si importava facilmente dall'Africa, gli ortaggi e la frutta, prodotti di rapido deterioramento, dovevano essere coltivati nell'immediata periferia urbana. La valle della Caffarella, che ha sempre avuto una condizione idrica molto favorevole, fu infatti occupata da ville e frazionata in molti appezzamenti, il più famoso dei quali fu il Triopio di Erode Attico.

Il Triopio era una delle numerosissime ville suburbane dove persone anche di diversissima estrazione sociale, dall'imperatore fino al cittadino comune, avevano sia la residenza che l'azienda agricola. La produzione agricola seguiva tipici criteri industriali, che nel caso della Caffarella richiesero, oltre ad un complesso sistema di canalizzazione delle acque, anche terrazzamenti per facilitare la coltivazione, nonché fabbricati, pozzi e cunicoli per il drenaggio del terreno. Inoltre abbondanti riserve idriche erano contenute nelle cisterne, che erano utilizzate sia per l'irrigazione del fondovalle, sia per fornire di acqua le ville padronali.

Nel Medioevo la valle della Caffarella è stata coltivata solo nelle parti protette da fortificazioni; così era coltivata la zona vicina alla città, dove la protezione era assicurata dalle Mura Aureliane, mentre la trasformazione di Cecilia Metella in fortilizio consentì la sopravvivenza del Triopio fino a tutto il Medioevo.

Intorno all'anno 1000 la valle risulta ancora produttiva: sui poggi si lavorano le vigne e nel fondovalle gli orti.

Nel XV sec. l'insalubrità del fondovalle, il timore di briganti e di invasori, ed il generale progressivo spopolamento della campagna romana, provocarono anche in Caffarella il regresso dell'agricoltura e la frammentazione in piccole proprietà.

Dopo questa parentesi, la valle tornò azienda agricola a tutti gli effetti intorno alla metà del '500: nel 1536, infatti, da porta S. Sebastiano entrò vittorioso in città Carlo V, e proprio in questo periodo la famiglia dei Caffarelli, nota per aver ospitato l'imperatore con grande fasto, acquistò da vari proprietari la valle dell'Almone, allora nota con diverse denominazioni: Marmorea, Vallis Apie, Acquataccio, Fontana Vergine, Acqua Santa ecc.

I Caffarelli bonificarono e resero produttiva la valle dopo tanti secoli di abbandono, spurgarono i ruscelli che ristagnavano e crearono la canalizzazione che esiste ancora; inoltre piantarono lunghi filari di alberi (salici, pioppi bianchi e neri ecc.), creando così l'aspetto moderno della valle. L'opera più importante fu comunque la costruzione, nel 1547, della splendida Vaccareccia, casale centrale della valle tutt'oggi attivo.

Anche in seguito il valore della tenuta non fu mai sottovalutato, come è testimoniato dai numerosi casali sparsi un po' ovunque.

Nel 1816 la Caffarella fu acquistata dai Torlonia, che ristrutturarono la Vaccareccia, spurgarono i canali laterali, incanalarono le sorgenti, bonificarono il fondovalle, e costruirono l'acquedotto che capta l'acqua dell'Almone sotto via dell'Almone, portandola fino alla mola del tempio del dio Redicolo.

Via della Caffarella fino al tempio del dio Redicolo

Dalla Vaccareccia è possibile, percorrendo via della Caffarella, raggiungere la via Appia Antica all'altezza del Quo Vadis. Chi fa questo percorso dovrebbe far caso al fondo stradale; infatti sia in corrispondenza dei ponti (che nascondono quasi sempre strutture romane) sia in certi punti dissestati si vedono tracce di antico lastricato.

Salendo sulla collina di fronte alla Vaccareccia, nascosto tra gli arbusti, troviamo un piccolo ninfeo rettangolare, alto circa un metro e mezzo, scavato nel tufo fino all'inizio della volta, e con a fianco uno stanzino più piccolo; la stanza è costruita con calcestruzzo misto a scaglie di mattoni e di tufo; si vede che i mattoni e i tufi sono mal tagliati e di riporto; tutto ciò fa pensare che il ninfeo sia del IV sec. d.C., periodo di decadenza dell'Impero Romano. Sul fianco destro del ninfeo è il pavimento di una vasca in coccio pisto, ora ricoperto di terra.

Scheda ninfeo

PERIODO STORICO: IV sec. d. C.

DESCRIZIONE: Piccola stanza (3,41x2,50 m) scavata nel tufo fino quasi alla spinta della volta per una altezza di 1,5 m circa; la volta è in muratura con scaglie di mattoni e tufo, così come le pareti; i mattoni sono di riporto e i tufelli mal tagliati; a destra dell'ingresso vi è uno sgabuzzino, più alto dell'edificio principale, ampio 0,9x1 m, e la facciata dell'edificio ha uno sviluppo conservato di 15 m; si tratta di un'opera idraulica interpretabile come un ninfeo.

Il pavimento della stanza è coperto di terra mista a rifiuti e scaglie di tufo; la sottile volta si trova spesso a sopportare le persone che vi camminano sopra.

Il Tempio del dio Redicolo

La visita alla valle della Caffarella prosegue con il cosiddetto Tempio del dio Redicolo (detto anche sepolcro di Annia Regilla) e la torre - valca.

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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 29 gennaio 2002