Il cosiddetto Tempio del dio Redicolo (detto anche sepolcro di Annia Regilla) e la torre - valca


Il tempio del dio Redicolo


Il cosiddetto tempio del dio Redicolo

A circa metà strada, sul lato sinistro, è possibile vedere uno dei più bei monumenti esistenti a Roma: il cosiddetto tempio del dio Redicolo.


Le pareti Sud e Ovest

Il tempio in realtà è una tomba romana, che alcuni dicono di Annia Regilla; tuttavia l'interno accoglie varie nicchie, quindi la tomba appartenne a più persone, forse riunite in cooperativa.


L'interno del sepolcro

L'edificio si presenta comunque come un sepolcro a tempietto a due piani, in laterizio, coperto da un tetto a doppio spiovente che si regge su una volta a crociera impostata su pilastri angolari; al piano superiore, illuminato dalle finestre rettangolari, avevano luogo i riti funebri, mentre nel piano inferiore, privo di finestre, era allestita come al solito la cella sepolcrale.


Il piano superiore

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le tecniche di costruzione del tetto

Questa tomba, costruita interamente in mattoni, è giustamente famosa per la raffinatezza delle sue decorazioni; il discreto stato di conservazione si deve ai contadini che, nei secoli, la riutilizzarono come fienile (all'interno il pavimento che separava i due piani è crollato), garantendo così un minimo di manutenzione.

Nonostante il nome tradizionale questo edificio è sicuramente un sepolcro, di dimensioni 8,16 x 8,57 m, realizzato con la tipica tecnica architettonica dei sepolcri laterizi a tempietto della seconda metà del II sec. d.C.

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l'architettura funeraria romana

Di particolare effetto è l'uso di due tipi di laterizio: mattoni gialli per le pareti e tegole rosse nelle modanature (cioè gli ornamenti architettonici a rilievo: colonne, architrave, cornice ecc.).


La parete Sud

La parete Sud è la più decorata, forse perché si affacciava su una strada che, partendo da piazza Galeria, collegava via Latina con via Appia Antica: essa è ornata da due semicolonne ottagonali (è notevole l'eleganza dei capitelli) incassate nel muro, che così dividono la parete in tre riquadri; al centro una finestra rettangolare ha una bella cornice sorretta da mensole che formano una specie di baldacchino, mentre ai lati si vedono due vani rettangolari ornati con ricche cornici, che contenevano delle iscrizioni in marmo (che accentuavano la policromia della parete); in basso corre una fascia a meandro.


Particolare della parete Sud

Accuratissima è la trabeazione, i cui ornamenti architettonici sono disposti in quest'ordine: fascia, astragalo, fascia, kymation, listello, fregio liscio, kymation, listello, dentelli, listello, ovoli e cornice, quindi mensole e lastre intermedie a squame e infine una fascia di mattoni aggettanti.

L'ingresso è sul lato verso il fiume Almone; lì una gradinata conduce al piano superiore, formando davanti alla porta un podio largo tre metri: qui alcuni autori suppongono che sia esistito un piccolo pronao a quattro colonne, ma mancano prove conclusive.


L'ingresso del sepolcro visto dall'interno

Sopra la porta principale, una nicchia semicircolare è sormontata da un timpano ad angolo molto acuto, ed è fiancheggiata da due finestre la cui cornice superiore è sorretta da mensole.


Il lato con l'ingresso principale

La tomba è stata giustamente ammirata e studiata dagli architetti del Rinascimento Antonio da Sangallo e Baldassarre Peruzzi, e disegnata nel Settecento dal Piranesi e dal Labruzzi, spesso insieme al vicino casale, costruito sulle fondamenta di una delle torri di controllo della valle. Si chiamava "Turris valcha acta ad valchandum", cioè per fare il bucato; infatti nel fosso davanti alla torre c'era una chiusa che creava delle piscine per lavare i panni (anche nel Medioevo infatti si faceva il bucato).

Le valche

Intorno all'anno 1000, nel fondovalle della Caffarella funzionavano le cosiddette valche, specie di mulini ad acqua destinati alla lavorazione e al lavaggio dei panni di lana, utilizzate talvolta anche come mole per la produzione di farina. Questi impianti sfruttavano il flusso delle acque del fiume Almone, come riportato in un documento del 1081 conservato nell'Archivio di Santo Spirito:
concedimus Sanctam Mariam que cognominatur Domine quo Vadis, et totam planiciem ante ianuas ipsius ecclesie, ubi fullones candificant pannos, cum tribus molendinis que ibidem sunt.

Questo genere di industria potrebbe essere addirittura di origine longobarda, dato che deriva il nome dal verbo "walkan", cioè "rotolare", riferito ai rulli che lavoravano i panni. Grazie alle valche nacque una fiorente industria, tutelata nei secoli successivi da speciali "statuti", dall'istituzione di privilegi, e dalla concessione di contributi.

La normale attività di lavorazione della lana fu sostituita dal compito di disinfezione dei panni quando, nel 1656, Roma fu colpita dalla peste. In quella occasione nel fondovalle della Caffarella lavoravano tre valche: la valca Spada, che sorgeva dalle parti del ninfeo di Egeria, fu destinata allo spurgo dei panni di lino; la valca intermedia, accanto al tempio del dio Redicolo, ebbe il lavaggio delle coperte; infine la valca d'Acquataccio (che si trovava subito dopo il punto in cui l'Almone passa sotto via Appia Antica) ebbe come compito lo spurgo della lana dei materassi.


La valca intermedia della Caffarella con accanto la tomba in una illustrazione del 1662

Nel 1872 nel casale fu impiantata una mola per la macinazione di grano e granturco; la forza motrice che doveva far girare la mola era assicurata grazie alla costruzione di un acquedotto, che captava l'acqua dall'Almone sotto via dell'Almone, percorreva tutta la Caffarella, per poi arrivare fino alla mola.

L'acquedotto fu poco usato in quanto difettoso per errore di progettazione; ciò nonostante è ancora al suo posto, e qui se ne vedono alcune arcate; i resti della mola sono ancora visibili all'interno del casale.


Il canale all'altezza del Ninfeo di Egeria

Il restauro di questa parte del casale è stato condotto dall'Ente Parco regionale dell'Appia Antica e permette di ricomporre un aspetto dell'ambiente agricolo e della vita e dell'architettura ad esso legate, rispondendo comunque alle esigenze di un moderno parco urbano. La città ha sempre attinto materiali, energie e prodotti dalla valle della Caffarella, sfruttandone in diversi modi il suolo, il sottosuolo, le acque, tuttavia il ruolo attuale è ben diverso rispetto a quello avuto in un passato neppure lontano! Oggi cerchiamo di contribuire a riportare alla luce e a rendere riconoscibili le testimonianze di questo ruolo, e di comunicare i perché di un'organizzazione ambientale durata dieci secoli.

La valle della Caffarella: II parte

Adesso se vuoi puoi tornare a visitare la prima parte della Caffarella.

Oppure puoi proseguire la visita con la seconda parte, fino al Triopio di Erode Attico.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 29 gennaio 2002