A ridosso dalle mura Aureliane, stretta com'è tra due antichissime strade romane (la via Latina e la via Appia Antica), c'è la valle della Caffarella, una striscia verde di circa 200 ettari con al centro il fiume Almone.
La Caffarella è una tipica valle fluviale, nei cui versanti si riconoscono 3 colate piroclastiche del Vulcano Laziale e la colata lavica di Capo di Bove.
La ricchezza d'acqua e la fertilità dei terreni vulcanici hanno favorito una vegetazione varia e rigogliosa negli angoli non coltivati. In mezzo ai boschetti di querce incontriamo il pungitopo, mentre i filari di bagolari, gelsi, noci sono l'abitazione di decine di passeriformi. Alcune zone umide, con pioppi e salici, sono popolate da rane, rospi, salamandre, tritoni e bisce.
Tra i boschi e le sorgenti della Campagna Romana ci immergiamo nelle tradizioni e nei monumenti dell'antica Roma. In questi luoghi Numa Pompilio incontrava la ninfa Egeria per ispirarsi nell'emanare le prime leggi dell'Urbe, qui il dio Redicolo terrorizzò Annibale che marciava su Roma, qui sfilavano ogni anno i cavalieri romani in ricordo di battaglie combattute ai primordi della città.
I Romani, che non possedevano i frigoriferi, si sono contesi da sempre questa fertilissima area alle porte di Roma: dalla famiglia di Attilio Regolo, la Caffarella passò al ricchissimo Erode Attico, che vi eresse i monumenti più importanti.
Il basolato della via Latina, il tempio del dio Redicolo, il ninfeo di Egeria, il tempio di Cerere e Faustina (nel VI sec. d.C. trasformato nella chiesa di S. Urbano), il Colombario Costantiniano, le cisterne, i sepolcri, tutto testimonia la ricchezza della valle al tempo dei Romani; poi secoli di declino, con le torri medievali che ancor oggi testimoniano l'importanza nella strategia militare dell'epoca.
Finalmente nel '500 Pietro Caffarelli (che lasciò alla valle il proprio nome) costruì la splendida Vaccareccia, e unificò la Caffarella in una grande azienda agricola rinascimentale; ai Caffarelli seguirono quindi i Pallavicini, i Rospigliosi e i Torlonia; infine, proprietaria della maggior parte della valle è attualmente la fondazione Gerini.
Grazie al gran numero di monumenti e di rovine, la valle della Caffarella è così scampata pressoché intatta alle speculazioni edilizie degli anni '60, mantenendo aspetti dell'ambiente naturale contadino; bisogna però rendere merito all'allora ministro ai LL.PP. Giacomo Mancini, che nel 1965 rifiutò l'approvazione del Piano Regolatore di Roma finché il Comune non avesse destinato l'area a parco pubblico.
Da allora ben poco è stato fatto; un primo tentativo di esproprio (del 1972) fu bocciato dal Consiglio di Stato per la mancanza del progetto di attuazione, e in seguito solo parole finché nel 1992 la legge per Roma capitale assegnò 26 miliardi al Comune di Roma per l'acquisizione delle aree; questo ha consentito all'amministrazione comunale di muovere i passi necessari per espropriare circa 120 ettari di parco.
La via Latina è una strada antichissima, risalente addirittura alla preistoria; il tracciato originario partiva grosso modo dall'isola Tiberina (unico guado nel basso corso del Tevere), oltrepassava i Colli Albani e riscendeva lungo le valli del Sacco e del Liri.
In età romana, sia la via Latina che la via Appia Antica uscivano da porta Capena, una porta nelle Mura Repubblicane, oggi scomparsa, che si trovava tra il Circo Massimo e la Passeggiata Archeologica; le due strade formavano quindi un unico tratto fino alla biforcazione ancor oggi esistente a piazza Numa Pompilio, dopo le terme di Caracalla. Di lì, il viaggiatore comune che nei primi secoli dell'Impero si incamminava verso Sud incontrava una ininterrotta successione di sepolcri e ville suburbane; tuttavia nel corso del III sec. d.C. una serie di crisi economiche, politiche e militari costrinsero l'imperatore Aureliano (270-275 d.C.) ad intraprendere la costruzione di una nuova cinta muraria, visto che quella vecchia (le Mura Repubblicane) era ormai un rudere, e che la città, dopo mezzo millennio di dominio incontrastato, era cresciuta tutt'intorno.
Nel punto in cui le mura intersecavano la via Latina e la via Appia Antica furono costruite due grandi porte (porta Latina e porta S. Sebastiano); esse, come tutte le porte principali costruite da Aureliano, erano coperte ad arco, protette da torri semicircolari e rivestite di travertino.
Uscendo dalla città la via Latina attraversava la campagna romana verso Sud-Est, raggiungeva i Colli Albani, e, valicato il passo dell'Algido (560 m s.l.m.), imboccava la valle del Sacco. La via oltrepassava quindi il Liri a Ceprano, e raggiungeva il Volturno a Casilinum (l'attuale Capua); qui la via Latina e la via Appia si riunivano, formando uno snodo importantissimo per tutte le comunicazioni con l'Italia meridionale; subito dopo, la via Latina arrivava finalmente all'antica Capua (oggi S. Maria Capua Vetere).
Il tracciato della via subì, durante tutto il III sec. a.C., uno straordinario lavoro di rettificazione, lavoro reso ancor più complesso dalle notevoli asperità del terreno; basti pensare che il tratto da Roma fino a Grottaferrata è un unico rettifilo di ben 15 km, comprendente persino un viadotto alto 7 metri, edificato tra la fine del II e l'inizio del I sec. a.C. impiegando blocchi di tufo di Grotta Oscura, dove la strada incontrava il fosso dei Cessati Spiriti.
Gli ingegneri romani anticiparono di fatto il criterio delle moderne autostrade: arrivare il più rapidamente possibile alla meta finale (Capua), tralasciando le città che erano lungo il percorso.
La larghezza della sede carrabile, 4 - 4,10 metri, era studiata in modo tale da permettere a due carri di incrociarsi comodamente; la strada era delimitata da basoli messi verticalmente, che avevano la stessa funzione dei paracarri e impedivano ai carri di salire sui marciapiedi schiacciando i pedoni. I marciapiedi erano adibiti al traffico pedonale, ed erano posti ai lati di tutte le strade romane; le loro dimensioni dipendevano dalla quantità di traffico, e con essi la larghezza totale della strada poteva superare i dieci metri.
Associati alla via Latina erano poi le arcate dei più importanti acquedotti romani; ben sette acquedotti correvano più o meno parallelamente alla via, e alcuni la scavalcavano in due punti vicini, caratteristica questa che fu sfruttata dai Goti di Vitige per la costruzione di un campo fortificato (oggi ancora vi sorge Tor Fiscale).
La via Appia, ad eccezione del tratto fino a Bovillae (l'attuale Frattocchie) che fu semplicemente rettificato, fu costruita ex-novo dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C.; l'obiettivo era di avere una nuova e più grande strada per Capua che costeggiasse il versante marittimo, più sicura della via Latina e rispondente al fronte di guerra.
Ancor più della via Latina, la via Appia Antica fu costruita con lo stesso criterio delle moderne autostrade, cioè con grandi rettifili che puntano direttamente alla meta finale (Capua), e con strade di raccordo che la collegano ai centri importanti lungo il percorso (Velletri, Norma, Priverno ecc.).
La rettificazione della via Appia, il cui tracciato taglia anche terreni assolutamente poco propizi, richiese uno sforzo ingegneristico superiore a quello richiesto dalla stessa via Latina; basti pensare che il tratto da Roma a Terracina è un unico rettifilo di circa 90 km che passa in mezzo ai Colli Albani e alle paludi pontine.
Il percorso totale è di 132 miglia (195 km, quindi 4 km in più della via Latina), che si poteva effettuare in cinque-sei giorni di cammino. Nel 268 a.C., per favorire l'espansione romana verso Sud, la via Appia fu prolungata fino a Benevento; successivamente la strada fu portata a Venosa, a Taranto, e infine a Brindisi.
La costante manutenzione permise alla via Appia Antica di restare efficiente fino al pieno Medioevo (nel VI secolo l'imperatore Teodorico ne riassestava ancora il lastricato); in seguito essa venne abbandonata in favore della via Latina (ormai nota col nome di via Casilina).
Come la via Latina, anche la via Appia Antica correva affiancata da una successione ininterrotta di sepolcri, alberghi, ville. L'enorme numero di tombe lo si deve alla proibizione di seppellire o cremare cadaveri in città; per questo i Romani, che desideravano conservare il proprio ricordo dopo la morte, cercavano di costruire il proprio sepolcro lungo le strade di grande comunicazione, dotando la costruzione di caratteri architettonici che colpissero i passanti.
Ogni 9 miglia erano poi disposte le stazioni per il cambio dei cavalli (mutationes), mentre ogni 30 miglia (distanza che poteva essere percorsa da un viaggiatore comune, a piedi, in un giorno) sorgevano gli alberghi di tappa (mansiones).
In tutta la campagna erano poi sparse piccole, medie e grandi ville suburbane, come la villa di Demetriade e la villa dei Sette Bassi sulla via Latina, oppure come il Triopio di Erode Attico e la villa dei Quintili sulla via Appia Antica.
Le lotte baronali del medioevo hanno lasciato tutta l'area disseminata di torri; cisterne antiche e casali moderni sono infine la testimonianza della fertilità dei terreni a fini agricoli.
L'attività dell'uomo ha avuto un impatto sull'ambiente della Caffarella ancor prima della comparsa delle prime testimonianze storiche scritte.
Millenni di transumanza fra monte e valle hanno significato scambi commerciali fra le popolazioni appenniniche e quelle della sottostante pianura e della costa; in questo la Caffarella fu favorita oltre che dal collegamento alle grandi valli del Tevere e dell'Aniene anche dalla più importante via di comunicazione per il Sud: la valle dell'Almone e, oltre i Colli Albani, le valli dei fiumi Sacco, Liri e Garigliano, utilizzate fin dal Paleolitico, e sulle quali verrà costruita la via Latina.
Il bacino del Tevere (e quindi anche l'Almone), pur producendo periodiche inondazioni e aree paludose (e quindi malariche), rappresentava inoltre un grosso richiamo per le popolazioni indigene, in quanto forniva terreni per l'agricoltura e la pastorizia in un'Italia centrale prevalentemente montuosa.
Le sorgenti, sacralizzate come ogni manifestazione della natura, erano abbondantissime; nella valle della Caffarella ne abbiamo censite 10 ed almeno altrettante sono state interrate dall'uomo.
La presenza dei rilievi, cioè strutture ben difendibili che permettevano il controllo dei fiumi e delle valli, fu un ulteriore elemento di successo in quanto consentiva lo sviluppo del commercio, dell'agricoltura e dell'allevamento.
Fin dall'VIII sec. a.C. la situazione abitativa dei Romani era quella di piccoli agglomerati di capanne in legno, costruite tagliando gli alberi più resistenti (probabilmente le querce); questi alberi erano molto diffusi sia lungo i versanti collinari (farnia, cerro e roverella) che sulle sommità (lecci), e tre lecci sono il residuo dell'unico esempio rimasto a Roma di bosco sacro.
In seguito si cominciò ad usare il tufo quale materiale da costruzione. Cavare il tufo dai colli stessi dove si costruirono le prime abitazioni fu una pratica che proseguì per secoli, fino a che l'ampliarsi della città impose il prelievo del materiale fuori dal centro abitato: quindi anche in Caffarella.
Da allora la valle è stata definitivamente antropizzata, sfruttata a fini produttivi, strategici e, in questi ultimi anni, anche turistici.
Di tutto questo molto può essere riconosciuto osservando gli elementi del paesaggio insieme con quelli prodotti dall'attività umana del passato; essi possono essere imponenti e facili da identificare (una casa, una torre, un sepolcro monumentale), oppure nascosti da sviluppi successivi e visibili magari solo come resti di un assetto agricolo romano o di un piano urbanistico medievale, oppure semplicemente una dispersione di pietre, tegole, vasellame ad indicare dove un tempo sia stata una struttura.
Alcune caratteristiche storiche, sepolte sotto il terreno o sott'acqua, possono essere già note agli archeologi, altre ancora attendono la scoperta e l'identificazione.
Il fattore comune di tutte queste caratteristiche è l'essere sopravvissute da tempi passati, e, per quanto questo possa essere nascosto, esercitano una qualche influenza sull'ambiente presente.
Il tufo, materiale vulcanico abbondantissimo sia dentro Roma che nei dintorni, cominciò ad essere usato sin dal VII sec. a.C., forse in seguito all'incontro tra i primi Romani e la più evoluta civiltà etrusca; esso possiede infatti ottime qualità edilizie in quanto è tenero durante l'estrazione, mentre all'aria indurisce conferendo un buon isolamento degli ambienti.
Il tufo cavato in Caffarella fin dall'epoca dei Romani è il cosiddetto tufo litoide lionato (III colata piroclastica del Vulcano Laziale). Esso possiede ottime qualità edilizie in quanto è tenero durante l'estrazione, mentre all'aria indurisce conferendo un buon isolamento degli ambienti.
Già i Romani mettevano in opera il tufo utilizzando quale legante idraulico la calce, mista alla pozzolana e all'acqua. Anche la pozzolana è stata da sempre cavata in Caffarella; essa è presente alla base delle colline (pozzolane rosse) e corrisponde alla II colata piroclastica del Vulcano Laziale.
Cavare il tufo dai colli stessi dove si costruirono le prime abitazioni fu una pratica che proseguì per secoli, fino a che l'ampliarsi della città impose il prelievo del materiale fuori dal centro abitato. Tra i primi tufi ad essere introdotti in città ci furono il peperino, impiegato sin dal IV-III sec. a.C., e il tufo di Grotta Oscura, utilizzato a partire dalla conquista della città di Veio (396 a.C.).
Nel 144 a.C., proprio in occasione della costruzione dell'acquedotto Marcio, venne introdotto in architettura il tufo rosso dell'Aniene, che a poco a poco sostituì il tufo di Grotta Oscura; il successo di questo materiale si spiega non tanto per le sue qualità (abbastanza modeste), quanto per la facilità di trasporto per mezzo dello stesso fiume Aniene.
Per tornare alla pagina principale: Didattica nell'Appia Antica
Per commenti e osservazioni potete contattarci via e-mail c/o:
comitato@caffarella.it
A cura di Mario Leigheb:
Per tornare alla home page:
Home delle Pagine di Mario Leigheb: Notizie sul Municipio Roma IX, Caffarella, Appia Antica e Tang. Est
copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 1 dicembre 1997