Le Mura Aureliane


  1. Il contesto storico
  2. Porta S. Sebastiano
  3. Porta Latina
  4. Porta Metronia
  5. Il percorso lungo le Mura da porta Metronia
  6. Porta Asinaria
  7. Il percorso da porta Asinaria all'anfiteatro Castrense

Il contesto storico

In origine, al tempo della Monarchia, Roma era circondata semplicemente da un pomerio, una linea sacra che delimitava il perimetro della città. Non esisteva, se non sul Palatino, nessuna particolare struttura fortificata. Questa linea ideale, che manterrà il suo ruolo giuridico e sacro anche durante l'Impero, poteva essere però allargata in funzione del territorio di ager barbaricus che veniva conquistato nelle varie guerre. Man mano che si conquistavano nuove regioni si aveva il diritto di allargare la linea sacra di contenimento della città.

Roma si doterà della prima vera cinta muraria in età repubblicana; sono le cosiddette Mura Serviane, quelle in blocchi di tufo che si incontrano alla stazione Termini, sull'Aventino, sull'Esquilino in piazza Manfredo Fanti e in altre zone sparse di Roma, costruite nel IV sec. a.C. dopo l'incendio gallico del 390 a.C.

Da allora e per buona parte dell'età imperiale Roma è la grande capitale di uno Stato potentissimo, che non avrà bisogno di nessuna particolare attenzione difensiva, fino a quando a Nord, sotto l'imperatore Gallieno, la popolazione degli Alamanni riuscirà a raggiungere il Lago di Garda.

Il III sec. d.C. fu caratterizzato da una serie di crisi economiche, politiche e militari, che indebolirono la solidità dei confini fortificati dell'Impero (il "limes"). I grandi scontri tra l'esercito romano e le popolazioni germaniche, principalmente lungo il Reno e il Danubio, avevano avuto in precedenza sorti alterne, ma in definitiva favorevoli a Roma; eppure i costi altissimi di tale difesa, e l'agitazione delle popolazioni germaniche a causa della spinta fortissima che su di esse esercitavano le popolazioni centro-asiatiche, provocarono la rottura del limes, consentendo alle orde barbariche di muoversi quasi indisturbate per l'Impero, mettendo in pericolo perfino la sicurezza di Roma.

La penetrazione barbarica nell'Italia centro-settentrionale costrinse allora l'imperatore Aureliano (270-275 d.C.) ad intraprendere la costruzione di una nuova cinta muraria, visto che quella vecchia (le Mura Repubblicane) era ormai un rudere, e che la città, dopo mezzo millennio di dominio incontrastato, era cresciuta tutt'intorno.

l'imperatore Aureliano (270-275 d.C.)
l'imperatore Aureliano (270-275 d.C.)

La cinta di Aureliano venne portata a termine in pochi anni dalle corporazioni civili, dato che il Genio militare era allora impegnato in Italia settentrionale e in Oriente. Per le maestranze urbane si trattò di una occasione unica per lavorare, dato il periodo di crisi dell'economia (le Mura sono l'unica grande opera pubblica di Roma nel periodo tra Caracalla e Diocleziano).

Ovviamente non fu possibile costruire una tipica fortezza, magari in posizione elevata, dotata di un fossato, con un solo accesso ben protetto da torri e cinte sia esterne che interne. La scelta del tracciato fu piuttosto un compromesso tra scelte strategiche e scelte economiche.

disegno di Porta Latina
Porta Latina

Gli ingegneri militari, che avevano accumulato una lunga esperienza nell'organizzazione e manutenzione del limes, cercarono di inserire nel cicuito murario tutte le zone elevate, da cui era possibile controllare la campagna, mentre Aureliano, per risparmiare, utilizzò il più possibile i terreni appartenenti al demanio imperiale, limitando al massimo gli espropri di terreni privati o del demanio pubblico. Lo stesso fiume Tevere venne inserito nel progetto, fortificato lungo la riva sinistra. Si stabilì inoltre di includere quei monumenti che potevano essere utilizzati da un eventuale nemico come capisaldi fortificati, il che tra l'altro consentiva di risparmiare tempo e materiale da costruzione. In questo modo furono inglobati, per limitarci al tratto di mura più vicino (si calcola infatti che circa un decimo del circuito murario sia costituito da precedenti edifici), la piramide Cestia, l'anfiteatro Castrense, tratti degli acquedotti Claudio e Marcio, il sepolcro di Eurisace a porta Maggiore.

Il perimetro, lungo circa 19 chilometri, era costituito da una muraglia in laterizio alta circa 6 metri e spessa tre metri e mezzo, che terminava con un cammino di ronda scoperto ma comunque protetto da un parapetto alto un metro sul quale, ogni tre metri, si alzavano merli alti 60 cm.

Le mura erano protette ogni 100 piedi (circa 30 metri) da una torre quadrata; tale distanza permetteva di tenere sotto tiro le torri adiacenti per mezzo di baliste (una specie di enormi balestre che lanciavano giavellotti dalla punta di metallo) e onagri (piccole catapulte che lanciavano pietre con una gittata appunto di 30 metri). Le macchine da guerra erano alloggiate dentro camere coperte all'altezza del cammino di ronda, all'interno delle torri.

Poiché le Mura attraversavano molte strade, gli ingegneri militari furono costretti ad aprire un gran numero di porte, nonostante questo contrastasse con le più elementari regole strategiche.

Tutte le porte principali di Aureliano erano comunque coperte ad arco e protette da torri semicircolari (che permettevano un campo di tiro di 180°), oltre che dotate di una duplice chiusura: all'interno a doppio battente, e all'esterno a saracinesca, che veniva calata dall'alto tramite corde e che scorreva lungo apposite scanalature.

Nel punto in cui le mura intersecavano la via Latina e la via Appia Antica furono costruite due porte principali: porta Latina e porta Appia (oggi porta S. Sebastiano); anch'esse erano coperte ad arco, protette da torri semicircolari e rivestite di travertino. Alle porte principali furono affiancate anche numerose posterule, piccole porte di servizio o per il passaggio in qualche terreno privato, costruite semplicemente con una apertura in mezzo a due torri; sia porta Metronia che porta Asinaria nascono come posterule, ma porta Asinaria sarà decisamente rinforzata al tempo dell'imperatore Onorio.

Lo scopo di Aureliano era di fermare solo orde di assalitori non in grado di impegnarsi in lunghi assedi o di sferrare potenti attacchi; ma la situazione di Roma peggiorò al punto che, solo 25 anni più tardi, e nonostante che le mura non avessero mai sostenuto attacchi degni di nota, l'imperatore Massenzio condusse un sostanziale rinforzo, riconoscibile in qualche tratto per la tecnica edilizia in opera listata. Massenzio fece scavare anche un fossato, che però non fu portato a termine.

l'imperatore Massenzio (307-312 d.C.)
l'imperatore Massenzio (307-312 d.C.)

Nel 401-402 il pericolo di invasione da parte del potente esercito dei Goti indusse l'imperatore Onorio a potenziare decisamente le mura.

l'imperatore Onorio (395-423 d.C.)
l'imperatore Onorio (395-423 d.C.)

Sotto la direzione del generale Flavio Stilicone, l'altezza fu raddoppiata; le torri furono alzate, rinforzate e dotate di una ulteriore camera di manovra coperta; le porte principali furono rimpicciolite, mentre le secondarie furono o murate oppure promosse a porte principali; il cammino di ronda fu coperto, e mentre il lato interno era aperto con una successione di arcate, il lato l'esterno fu murato, lasciando aperte delle feritoie per gli arceri, che con le balestre potevano lanciare dardi.

Le mura dopo il crollo del 2001
L'interno delle Mura rivelato dal crollo del 2001

Sopra si costruì un ulteriore camminamento protetto da una merlatura; il cammino superiore fu costruito in modo da poter sostenere le catapulte che, grazie alla quota più alta, potevano raggiungere maggiori distanze.

Finalmente le porte principali (tra cui porta Ostiense, che è l'unica rimasta, porta Appia, porta Latina e porta Asinaria) furono dotate, dal lato interno, di una corte di sicurezza interna, anch'essa protetta da mura e dotata di controporta.

Onorio abbandonò l'idea del fossato, limitandosi a spianare il terreno tutto intorno alle mura, che in un secolo si era riempito di detriti.

Nonostante l'imponente opera di rinforzo, le porte principali restavano punti deboli, e questo fu sfruttato dai Visigoti di Alarico, che nel 410 d.C. devastarono Roma penetrando da porta Salaria; di nuovo nel 455 i Vandali di Genserico e nel 472 dai barbari di Recimero invasero Roma e la saccheggiarono.

il re dei Visigoti Alarico
il re dei Visigoti Alarico

Alcuni restauri furono realizzati nei primi anni del VI secolo dal re dei Goti Teodorico, mentre un più deciso potenziamento fu portato nel corso della guerra gotica dal generale bizantino Belisario, che riprese l'idea del fossato almeno nel tratto tra porta Flaminia e porta Prenestina.

Approfondisci:
la guerra gotica

Per avere un riassunto della situazione nel medioevo, il codice di Einsiedeln, che alla prima metà del IX secolo descrive ad uso dei pellegrini undici itinerari che si diramano dalle varie porte delle Mura Aureliane, enumera 383 torri, 24 porte, 5 posterule, 2.066 finestre grandi e 116 necessarie (la latrina per il personale di guardia, che aggettava verso l'esterno).

Le porte restavano comunque i punti deboli, non fosse altro per la possibilità di tradimenti, come quello che permise ai Goti di Totila di entrare a Roma tramite porta Asinaria nel 546.

il re dei Goti Totila
moneta di bronzo da 10 nummi che raffigura il re dei Goti Baduela (Totila)

Con la guerra gotica la città si spopolò e decadde, e con essa declinò il sistema difensivo di Aureliano, che nei secoli successivi vide solo qualche riparazione. L'unico aggiustamento medievale degno di nota fu condotto da papa Adriano I verso la fine dell'VIII secolo (per difendere la città dalla minaccia di Desiderio) e da papa Leone IV alla metà del IX secolo.

Lo scontro tra Papato e Impero nel XV-XVI secolo indusse i papi a rinforzare il sistema difensivo delle Mura Aureliane.

Il rinforzo più importante fu quello apportato nel 1536 da Antonio da Sangallo il giovane, che costruì alcuni bastioni con la nuova tecnica del muro rotondo o poligonale, più resistente ai colpi di bombarda rispetto alla torre rettangolare.

A tale periodo si deve probabilmente la costruzione, in molti tratti, delle "scarpe", cioè degli zoccoli obliqui nelle parti inferiori dei muri che, oltre a complicare una scalata nemica, rendevano le basi dei muri più stabili sia ai colpi di arma da fuoco sia allo scavo per dissestarne le fondamenta. Tale accorgimento inoltre creava una sorta di guida per i proiettili che, lasciati cadere dall'alto, rimbalzavano sullo zoccolo rotolando rovinosamente sugli attaccanti.

Le Mura Aureliane hanno così difeso la città fino alla breccia di porta Pia (nel 1848 furono rifatte e rimpicciolite le feritoie per adattarle all'uso di fucili), e tuttora alcuni tratti appartengono al demanio militare.

Porta S. Sebastiano

Se osserviamo attentamente porta S. Sebastiano, possiamo ripercorrerne tutta la storia. In origine essa aveva due fornici gemelli che consentivano il passaggio in entrambi i sensi di marcia, ed era rivestita, come porta Latina, di travertino; successivamente (probabilmente al tempo dell'imperatore Onorio) fu ridotta ad un unico fornice rivestito di marmo. Allo stesso modo le due torri semicircolari del tempo di Aureliano furono in un primo tempo ampliate e alzate, e quindi ulteriormente rinforzate con i basamenti quadrati rivestiti di marmo che si vedono oggi.


Porta S. Sebastiano

La chiusura delle porta avveniva all'interno tramite doppio battente, mentre all'esterno era possibile una ulteriore chiusura tramite una saracinesca, che veniva calata dall'alto tramite corde e che scorreva lungo apposite scanalature.

Resta ancora qualche traccia del sistema di corte di sicurezza che utilizzava l'arco di Druso come controporta verso la città.

La figura dell'arcangelo Michele incisa nello stipite di porta S. Sebastiano è una curiosa testimonianza della vittoria dei Romani contro Roberto D'Angiò, re di Napoli, qui avvenuta il 29 settembre 1327.


Graffito con l'arcangelo Michele

Porta S. Sebastiano è un nome successivo, del periodo in cui la Roma cristiana prevale sulla Roma pagana, e il ricordo del martire Sebastiano prevale sul nome antico di porta Appia.

All'interno, la camera di manovra accoglie sin dal 1989 il Museo delle Mura, dove pannelli didattici, calchi in gesso e plastici illustrano la storia delle Mura dalle origini a oggi; dal Museo si può percorrere il camminamento interno fino a porta Ardeatina (cioè) fino agli archi sopra via Cristoforo Colombo). N.B.: il tratto è chiuso per restauro, e l'apertura è prevista nell'aprile 2006

Porta Latina

Porta Latina, a differenza di posterule come porta Metronia, era una delle porte principali, perché sorgeva a cavallo di una importantissima direttrice per il collegamento con il Latium vetus, cioè i Colli Albani, e con il Sud; tuttavia, il minore rango (e traffico) della via Latina in confronto con la via Appia Antica si riflette nel fatto che, contrariamente a porta Appia, porta Latina era già in origine ad un solo grande fornice, e del periodo di Aureliano restano ancora sia la torre semicircolare di destra (guardando la porta) sia la facciata rivestita di travertino (alcune parti strutturali interne sono in blocchi di tufo e travertino). L'altra torre semicircolare fu completamente rifatta nel medioevo, rispettando però la conformazione originaria.

Porta Latina a colori
Porta Latina

Durante i lavori di rinforzo promossi dall'imperatore Onorio, il fornice venne rimpicciolito, mentre la porta fu rialzata di un piano nel quale furono aperte le cinque finestrelle ad arco che si vedono ancora oggi. Sulla chiave dell'arco esterna è inciso il monogramma costantiniano, mentre sulla chiave dell'arco interna è incisa la croce greca.

Anche questa porta era dotata di una porta a doppio battente all'interno e di una saracinesca verso l'esterno, che veniva mossa dai soldati con gli argani della camera di manovra, e che poteva bloccare istantaneamente l'ingresso in caso di necessità; il tutto in legno rinforzato da borchie e lastre di metallo per resistere ai colpi di ariete. Dalla camera di manovra era possibile controllare l'esterno tramite cinque finestrelle centinate, e sopra si vede il camminamento scoperto e la merlatura (dall'interno si riconosce uno dei merli cuspidati originali).

Disegni del XVIII secolo mostrano che era presente anche una corte fortificata dal lato verso la città, munita a sua volta di controporta. La seconda torre semicircolare a sinistra guardando porta Latina, in scaglie di selce, è invece della seconda metà del XII secolo.

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le torri medievali

Nel medioevo la porta seguì lo stesso declino della via Latina; così, mentre la via veniva progressivamente abbandonata in favore della via Tuscolana (che si dirama ancor oggi dalla via Appia Nuova) fino a scomparire, la porta fu murata; solo in determinati periodi il transito veniva ripristinato, probabilmente a vantaggio dei frati della vicina basilica di S. Giovanni a porta Latina, ai quali una autorizzazione papale concedeva la possibilità di esigere il dazio.

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la feudalizzazione della Campagna Romana

Ad ogni modo, porta Latina restò quasi sempre chiusa, fino ai primi del '900, quando venne definitivamente riaperta in favore della ripristinata via Latina, che avrebbe servito l'edificando quartiere Appio Latino.

Porta Latina alla fine degli anni 50
Porta Latina alla fine degli anni '50 (autore: Luigi Urso)

Porta Metronia

Porta Metronia nasce come posterula, cioè una porta secondaria a proposito della quale non conosciamo neppure il nome della strada antica che vi passava attraverso (alcuni suggeriscono una ipotetica via Ciclopis). La motivazione fu la necessità di collegare verso l'esterno anche la zona del Celio, che, data la lontananza di porta Latina e di porta Asinaria, risultava piuttosto isolata.

Le Mura qui compiono un gomito, e il varco doveva essere in origine tra due torri; successivamente, forse al tempo di Onorio, la porta fu "promossa" di rango, con la costruzione di un doppio fornice all'interno di una torre che così ne avrebbe assicurato la protezione: una soluzione unica nel circuito murario.

La scarsa importanza della porta ne favorì la chiusura probabilmente già al tempo della guerra gotica, deviando il traffico sulle adiacenti porta Latina e porta Asinaria; la zona era depressa, e il piano originale rimase coperto da alcuni metri di detriti provenienti dalle zone circostanti. Eppure nel 1122 il luogo tornò oggetto di attenzione per la costruzione di una sorta di rudimentale acquedotto: quello detto dell'acqua Mariana.

Il papa Callisto II ebbe infatti l'idea di riportare a Roma l'acqua che gli antichi utilizzavano per l'acquedotto dell'aqua Iulia, la cui sorgente era situata tra Morena e Ciampino; i mezzi tecnici dell'epoca erano però estremamente poveri, al punto che il canale, lungo ben 15 km, era a pelo libero. L'acqua Mariana, dopo aver costeggiato la via Tuscolana, attraversato porta Furba, seguito gli acquedotti Marcio e di Claudio fino all'altezza di villa Lais, entrava a Roma proprio attraverso il fornice della vecchia porta Metronia, per proseguire poi lungo la Passeggiata Archeologica fino a gettarsi nel Tevere all'altezza della Bocca della Verità.

L'acqua Mariana fu utilizzata sia per l'approvvigionamento della popolazione che per fornire forza motrice ai mulini del Circo Massimo; questo fece la fortuna della famiglia dei Frangipane, che lasciò il nome alla torretta che si vede nei pressi della "curva Sud" del Circo Massimo.

la marrana dell'Acqua Mariana sotto Porta Metronia
la marrana dell'Acqua Mariana sotto Porta Metronia

Con la costruzione del condotto il fornice fu disotturato, rimanendo però troppo in basso per essere riutilizzato per il transito (anche oggi possiamo rendercene conto osservando la sommità dell'arco della porta antica che spunta dall'odierno piano di calpestio); proprio in questo periodo nasce il nome della porta, nome la cui origine è rimasta sconosciuta.

Sul lato interno, vediamo una targa del 1157, che ricorda il restauro effettuato dal alcuni membri del Senato Romano in occasione del conflitto con l'Imperatore Federico Barbarossa. L'epigrafe è particolarmente importante perché la prima volta dal crollo dell'Impero che viene esposta la sigla S.P.Q.R.

lapide Porta Metronia 1157
targa del 1157

Le Mura hanno assunto nel passato anche il ruolo di cinta daziaria, e ci fu un periodo in cui i Romani approfittarono del canale medievale per importare o esportare le merci, facendole passare clandestinamente sotto la porta dentro casse di legno. Per questo motivo all'interno del fornice fu installata una grata, che permettesse il deflusso dell'acqua impedendo però il passaggio degli oggetti. Alcuni suppongono che la grata abbia lasciato una traccia fino ad oggi nel toponimo di via della Ferratella.

lapide Porta Metronia 1579
targa che ricorda il restauro del 1579

Il percorso lungo le Mura da porta Metronia

Mentre il percorso esterno lungo le Mura è possibile da porta Metronia fino al bastione del Sangallo, il camminamento interno è possibile solo nel tratto tra porta S. Sebastiano e il bastione del Sangallo; il tratto tra porta Metronia e porta S. Sebastiano è invece tuttora impedito a causa dell'opposizione dei proprietari delle ville contigue.


Il camminamento interno visto da porta Metronia

Partendo da porta Metronia, il piano di campagna ha il piano di calpestio più alto rispetto a quello originario, a causa dell'accumulo di detriti portati dalla pioggia nel corso dei secoli. Dobbiamo quindi immaginare il camminamento di ronda del tempo di Aureliano più in alto di quello che appare, un po' più stretto, scoperto e dotato del parapetto merlato; l'aspetto attuale (galleria dotata di feritoie e sormontata dal camminamento superiore) è invece dovuto al rifacimento di Onorio.

Percorrendo la galleria incontriamo una serie di settori con volte, archetti e muri di sostegno ortogonali, tutti passanti, che sostengono la struttura superiore. L'unica concessione all'estetica in una struttura militare è l'accenno di modanatura in corrispondenza dell'imposta degli archi di passaggio tra un settore e l'altro; possiamo comunque apprezzare la tecnica laterizia, la quale, benché inferiore ai capolavori del II sec. d.C. e nonostante l'uso di materiali di risulta, resta pienamente efficace per quanto riguarda la solidità della struttura.

Per la costruzione non ci si fece scrupolo di utilizzare materiali provenienti dai sepolcri vicini; possiamo trovare infatti sia frammenti di travertino con ancora la dedica, sia blocchi di pietra tra i quali uno mostra la scritta "in fro", il cui significato era "in fronte", cioè la dimensione dell'edificio lungo la strada, che si accompagnava con la scritta "in agro" per la dimensione verso la campagna (erano iscrizioni con lo scopo di difendere il perimetro della tomba da eventuali sconfinamenti in proprietà privata).

Il muro segue l'andamento altimetrico del terreno; nel tratto tra porta S. Giovanni e l'anfiteatro Castrense esiste un tratto che, per superare una depressione, ha nel lato interno addirittura una doppia galleria arcuata (attualmente sottoposta a restauro).

Nelle torri che non hanno subito troppi rimaneggiamenti di epoca papale, possiamo vedere la camera coperta da un grosso arco dotata di feritoia, funzionale all'uso della balista. Per mezzo di una scaletta si accedeva alla camera superiore, anch'essa attrezzata per l'uso della balista, sormontata finalmente dal terrazzo, che così si trovava ad una quota ancor più alta rispetto al camminamento superiore (????????). Molte torri hanno però subito lesioni strutturali, e quindi sono state spesso abbassate e portate alla stessa altezza del camminamento superiore.

Seguendo le Mura dal lato esterno, si vedono ogni tanto degli sgabuzzini in aggetto, che erano i "bagni" del corpo di guardia; quelli meglio conservati mostrano dei mensoloni di travertino su cui poggia la cabina, dotata del buco che consentiva, volendo, di schernire il nemico. Sia all'esterno che all'interno si trovano anche la croce greca e il monogramma costantiniano (incastonati durante le ristrutturazioni del tempo di Onorio o di Belisario).

Lasciando porta Metronia in direzione San Giovanni raggiungiamo la seconda torre. Una buona metà di essa è formata da otto filari di grossi blocchi di tufo recuperati da qualche parte, e gli spazi rimasti tra i blocchi sono tamponati in mattoni; sopra i blocchi di tufo una fascia alta quasi tre metri è formata da ricorsi notevolmente ondulati di mattoni; lo spessore dei muri è il doppio di quello delle altre torri, e il secondo piano rientra di circa 2 metri rispetto ai piani inferiori. La tecnica del restauro risale ai lavori condotti dei papi Adriano I e Leone IV; evidentemente qui la facciata era crollata, per cui il muro frontale e la camera superiore vennero interamente ricostruiti, mentre i muri laterali furono costruiti intorno a quanto rimaneva dei muri romani.

Il tratto di Mura che sale verso San Giovanni è poco accessibile in quanto occupato da circoli sportivi, capannoni ecc. Il percorso segue un tratto della dorsale del colle Celio, che a porta Maggiore raggiunge uno dei punti più alti di Roma, dove arrivavano tutti gli acquedotti provenienti da Est; da qui l'acqua era distribuita alla città. Sia la dorsale sia porta Maggiore (che in origine non era una porta, ma l'arco trionfale, costruito secoli prima in blocchi di travertino bugnato, con il quale gli acquedotti Claudio e Anio Novus scavalcavano la via Labicana) furono sfruttati da Aureliano per costruire le Mura.

Porta Asinaria

Porta San Giovanni
Porta San Giovanni

Accanto all'apertura di Porta San Giovanni vediamo in basso Porta Asinaria. Il nome deriva probabilmente da quello della famiglia degli Asinii, che doveva possedere una tomba o una proprietà da queste parti, ma c'è anche chi crede che più semplicemente sia un toponimo legato al passaggio dei somari che portavano i carri. Nella cinta muraria di Aureliano porta Asinaria era una semplice posterula posta a metà tra due torri quadrate, che subì vari restauri specialmente all'epoca dell'imperatore Massenzio.

Tuttavia il traffico sulla via Asinaria dovette crescere ad un livello tale che l'imperatore Onorio ricostruì integralmente la porta.

Come per le altre porte principali anche porta Asinaria ebbe due torri semicircolari, che si andarono a saldare alle preesistenti torri quadrate; le nuove torri hanno tre piani e sono coronate da una cornice di mensole di travertino. La porta vera e propria fu alzata e dotata di finestre, il fornice fu allargato e rivestito di travertino per rendere più sicuro il funzionamento della saracinesca; nella disgraziata ipotesi che la saracinesca fosse sfondata o bruciata, all'interno fu aggiunto un cortile di guardia e una controporta con apertura orizzontale su cardini.

Nonostante i rinforzi, la porta fu attraversata durante la guerra gotica prima da Belisario, che il 9 dicembre 536 entrava a Roma mentre Vitige e l'esercito dei Goti uscivano da porta Flaminia, e poi da Totila, che 10 anni più tardi espugnò Roma grazie al tradimento dei mercenari isaurici.

Ecco come Procopio, lo storico delle guerre gotiche, racconta i due eventi bellici:

Or dunque Belisario poneva in assetto l'esercito, e i Romani, temendo che non accadesse loro come ai Napoletani, dopo riflessione videro essere meglio accogliere nella città l'esercito imperiale. A ciò soprattutto li spingeva Silverio, vescovo di quella città. Spedito Fidelio, originario di Milano, città della Liguria, assessore già di Atalarico (dignità questa che i Romani chiamano «questore»), invitarono a Roma Belisario, promettendo di consegnargli la città senza combattimento. Colui menò l'esercito per la via Latina, lasciando a sinistra la via Appia che già, novecento anni prima, Appio, console romano, avea costruita e da sé denominata.
La via Appia è lunga cinque giorni di cammino d'uomo aitante; essa va da Roma a Capua; la sua larghezza è capace di due carri che vadano in direzione opposta; fra tutte è d'assai la più cospicua, poiché Appio fece trasportare colà, cavandola da altra regione discosta, tutta la pietra, che è pietra molare e di dura consistenza, quale punto non si trova nel paese stesso. Levigate ed appianate le pietre e tagliatele ad angolo, le combinò tra loro senza frapporvi cementoné altro, e quelle stanno unite, aderenti così saldamente che, a chi le vede, non pare siano combinate, ma che formino un solo insieme; né, malgrado il molto tempo passato, e l'essere state giornalmente calcate da tanti carri e giumenti d'ogni sorta, avvenne che in alcun modo fosse turbata la loro compagine, né che alcuna fosse spezzata o consunta, o perdesse alcunché della sua nitidezza.
I Goti del presidio di Roma, udito che i nemici erano già presso, e avuto sentore della decisione dei Romani, stavano inquieti per la città, e non sapevan che fare, non essendo in grado di custodir quella ad un tempo e di far fronte agli assalitori. Ma poscia, avendone assenso dai Romani, partironsi di là e recaronsi a Ravenna tutti, ad eccezione di Leuderi, loro capo,, il quale, vergognandosi, credo, di tal sorte, rimase colà. Così in quel giorno avvenne che contemporaneamente Belisario coll'esercito imperiale entrasse in Roma per la porta che chiamano Asinaria e i Goti ne uscissero per un'altra porta detta Flaminia; e Roma fu ripresa dopo sessant'anni meno un mese, nell'anno undecimo da che Giustiniano teneva l'autorità imperiale.
Belisario mandò all'imperatore il duce dei Goti Leuderi e le chiavi delle porte; prese poi egli cura della cinta, in assai luoghi rovinata, dando ad ogni merlo forma angolare coll'aggiungervi certa altra costruzione dal lato sinistro; perché coloro che di là combattevano contro gli assalitori non fossero esposti ai colpi da sinistra scagliati dai combattenti contro le mura; ed inoltre tutto attorno a queste scavò una profonda e considerevole fossa. (Procopio di Cesarea, La Guerra Gotica, Libro I cap. XIV).

Era lecito, a quanti dei soldati volessero, starsene a oziare. Sulle mura pochi stavan di guardia e questa trascuravano anche assai poiché quelli a cui toccava il turnop di vegliare, potean dormire a lor talento, non esendovi alcuno che li sorvegliasse e vi ponesse attenzione; né v'eran scolte che facesser la ronda, com'è costume, per le mura, osservando che cosa stesser facendo; oltreché neppur alcuno degli abitanti poteva associarsi con quelli alla guardia, non essendone rimasti colà, come dissi, che ben pochi, e questi anche assai mal ridotti dalla fame.
Or dunque, quattro Isauri che stavano a guardia della porta Asinaria, colto il momento della notte in cui a quelli che dovean sostituirli toccava dormire e ad essi era commessa la custodia di quella parte delle mura, sospesero ai merli delle funi che giungevano fino al suolo, ed aggrappatisi a quelle con ambi le mani usciron fuori dalla cinta; recatisi quindi presso Totila, gli offersero di accoglier lui con l'esercito goto in città, affermando di essere in grado di far ciò facilmente. Colui promise che grandi grazie renderebbe loro e li farebbe signori di grandi ricchezze; e due del suo seguito mandò ad esaminare la località dalla quale diceano che i Goti avrebber potuto penetrare nella città. Giunti costoro alle mura, afferraron le funi e salirono sui merli senza che alcuno levasse la voce o si accorgesse della cosa. Colà gli Isauri mostrarono ai barbari ogni cosa: come, quando volessero salire, niente li impedirebbe, e come potessero pure liberamente tornarsene via senza che alcuno di loro si opponesse. E commesso loro di riferir tutto ciò a Totila, li rimandarono.
All'udir questa notizia Totila se ne compiacque; senonché, per certo sospetto che pur rimaneagli sugli Isauri, non volle del tutto fidarsi di costoro. Pochi giorni dopo di nuovo tornarono a lui quei tali, incitando a compier l'opera; ed egli mandò con essi due altri perché anche questi, diligentemente investigata ogni cosa, gliene riferissero. E questi pure, tornati a lui, tutto gli riferirono come già i primi. Frattanto parecchi soldati romani mandati ad esplorare, non molto lungi dalla città, si imbatterono in dieci Goti che facean cammino, e presili li menarono tosto a Bessa. Questi interrogò quei barbari circa le intenzioni di Totila, e i Goti gli dissero come colui sperasse che alcuni Isauri gli dessero in mano la città; giacché la cosa era già venuta agli orecchi di molti barbari. Pur nondimeno Bessa e Conone, udendo ciò, non ne fecero alcun caso e non se ne diedero per intesi. Gli Isauri, per la terza volta tornati dinanzi a Totila, lo spingevano all'opera; ed egli mandò con loro uno dei paretni suoi insieme ad altri, e questi, tornati a lui ed informatolo di ogni cosa, lo spronarono a compier l'impresa.
Totila, appena si fece notte, messo cheramente in armi tutto l'esercito, lo menò alla porta Asinaria, ed ordinò a quattro Goti distinti per coraggio e gagliardia di salire per le funi insieme agli Isauri sui merli, cogliendo, s'intende, quel momento della notte in cui a quegli Isauri toccava la guardia di quella parte delle mura, mentre agli altri toccava il turno di dormire. Costoro, entrati dentro alle mura, scesero dalla porta Asinaria senza che alcuno di loro si opponesse e con le scuri ruppero il legno che, innestato nel muro da ambo le parti, tien chiusi i battenti delle porte, come pure tutti i ferramenti nei quali i guardiani, introducendo le chiavi, chiudevano le porte o al bisogno le aprivano; e così, spalancata a lor piacimento la porta, facilmente fecero entrare in città Totila e l'esercito dei Goti. (Procopio di Cesarea, La Guerra Gotica, Libro III cap. XX)

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la guerra gotica

La porta rimase in funzione fino all'epoca di papa Pio IV (1559-1565), quando venne chiusa dopo essere stata spogliata di tutte le parti e gli ornamenti di marmo; essa fu quindi definitivamente sostituita dalla porta S. Giovanni, costruita da papa Gregorio XIII nel 1573. Nel 1951 finalmente il Comune di Roma ha ripristinato l'aspetto antico del monumento, ormai in gran parte interrato sia perché un dislivello tra interno e esterno già esisteva in antico, ma soprattutto a causa dei riporti di terra avvenuti tutt'intorno per la costruzione dei nuovi quartieri.

Il tratto lungo viale Castrense

In questo tratto doveva scorrere un ruscello, sul cui tracciato si sarebbe poi parzialmente sovrapposto il fosso dell'Acqua Mariana, lo stesso che più a valle passava sotto porta Metronia. Le Mura dovevano oltrepassare questo ruscello e quindi furono costruite in maniera particolarmente imponente.

Il lato interno fu dotato di un doppio ordine di arcate, con tre livelli di camminamento sovrapposti: il camminamento a terra, il camminamento intermedio e il camminamento alto, mentre normalmente le Mura con Aureliano avevano una sola linea di camminamento.

Questo fossato subì un primo parziale riempimento già al tempo di Sisto V, ma il riempimento che ancora oggi corrisponde a viale Castrense (il lato interno delle Mura è stato riportato alla luce) fu realizzato sostanzialmente a partire dalla fine dell'800 con l'Unità d'Italia, quando per realizzare il quartiere dell'Esquilino per il trasferimento dei Ministeri da Torino a Roma si dovette creare una sorta di piattaforma per progettare il nuovo quartiere "torinese".

Il livellamento dell'Esquilino, anch'esso formato in origine da collinette e fossati, comportò lo scarico delle terre di riporto in tutta questa zona, poi a San Giovanni in Laterano e oltre, fino a Porta Metronia. Nei primi anni del XX secolo, nel disinteresse sia del Governatorato di Roma che del Governo Italiano, le Mura subirono vari crolli; i primi restauri seri furono condotti negli anni '60 e '70 e solo nel 1999, con il Piano degli Interventi per il Giubileo, è stato possibile un restauro più accurato, durante il quale sono stati anche demoliti i capannoni dell'ATAC che si appoggiavano al lato interno ed è stato parzialmente scavato il riempimento.

Questo tratto di Mura è eccezionalmente alto; le pareti costruite da Aureliano erano alte 7,80 metri, ed hanno una larghezza di circa 4,00 metri. Con Massenzio le pareti furono rinforzate e sopraelevate fino oltre a 12 metri. Se osserviamo il camminamento riconosciamo facilmente il passaggio coperto a volta che permetteva alle sentinelle di percorrere il perimetro di ronda, di salire e scendere dalle torri. La struttura risale quasi dappertutto al rinforzo dell'imperatore Onorio. La muratura interna è in calcestruzzo e scaglie di tufo, mentre il paramento originario, in cortina laterizia, è stato spesso sostituito, al tempo di Massenzio con un paramento in blocchetti più grandi, al tempo di Belisario con rifacimenti a blocchetti di tufo. Tra le macerie di un crollo avvenuto nel 1912 sono stati rinvenuti 464 mattoni con il bollo, appartenenti al periodo compreso tra il I sec. d.C. e l'età di Teodorico, ma per la maggior parte di età adrianea. L'interpretazione dell'architettura delle mura è evidentemente ancora oggi complicata.

Il camminamento interno sale e scende dei gradini ogni volta che occorre scavalcare la volta delle torri. Lungo il percorso si incontrano molte delle 2.066 finestrelle a feritoia, tra le quali una feritoia appare intatta, ci si poteva infilare la testa e lanciare qualcosa di sotto.

Raggiungiamo la torre dell'Oratorio di Santa Margherita; il luogo, intermedio tra le basiliche di Santa Croce e San Giovanni, era importantissimo dal punto di vista sacro e religioso, e se il largo viale alberato fu realizzato solo nel 1775 da papa Benedetto XIV, già nell'XI secolo il piano terra della torre ospita l'oratorio di Santa Margherita di Antiochia di Pisidia, una martire dell'epoca di Diocleziano molto popolare nel medioevo soprattutto perché protettrice di partorienti. Lungo il percorso si riconoscono anche le tracce di alcuni gradini e brandelli di affresco che rappresentano lesene e decorazioni architettoniche, il che fa immaginare che, forse nel '700 o nell'800, qui ci sia stato un piccolo luogo di culto.

Se osserviamo la fronte della sesta torre da piazzale Appio, la parte ricostruita con mattoni di reimpiego, dai ricorsi ondulati, risale ai restauri medievali condotti dei papi Adriano I e Leone IV.

Nell'angolo dove le Mura si incontrano con l'anfiteatro, sul lato interno, troviamo la chiesa di Santa Maria del Buon Aiuto, ingrandita da papa Sisto IV nel 1476, come ricorda un'iscrizione sopra il portale. L'Oratorio del Buon Aiuto occupa un pezzo del camminamento, e se ne riconosce una finestrella aperta lungo il camminamento di ronda.

Attraversata via Nola le Mura inglobano i resti dell'anfiteatro Castrense, costruito probabilmente sotto l'imperatore Eliogabalo (218-222 d.C.) come anfiteatro di corte annesso alla dimora imperiale, dalla quale prese il nome (la parola Castrum assume in epoca tarda il significato di "dimora imperiale"). La zona era conosciuta come il Sessorio, la sontuosa villa divenuta nel III sec. d.C. residenza degli imperatori in sostituzione del Palatino. Un'intera parete della basilica di Santa Croce in Gerusalemme corrisponde ad una porzione del palazzl imperiale.

L'anfiteatro Castrense è l'unico anfiteatro di Roma oltre al Colosseo; anch'esso di pianta ellittica ma interamente in laterizio, aveva una capacità di 3.500-4.000 posti in tre ordini di arcate, che erano ancora visibili fino al pontificato di papa Paolo IV, quando per esigenze di fortificazione la parete fu tagliata all'altezza del primo ordine. All'interno si riconoscono solo alcune porzioni della cavea, perché la quota dell'arena è occupata dall'orto dei frati.

cavea dell'anfiteatro Castrense
cavea dell'anfiteatro Castrense

l'orto dei frati
l'orto dei frati

Ci troviamo adesso all'esterno della città, e qui possiamo farci un'idea della difficoltà che poteva incontrare chi da fuori doveva assaltare le Mura. L'effetto è amplificato dall'abbassamento del piano di calpestio, che ha portato alla luce una parte delle fondamenta sia qui che anche in certi tratti di viale Castrense.

Subito dopo la linea delle Mura taglia a metà il circo Variano, anch'esso probabilmente risalente ad Eliogabalo, e del quale restano solo pochi resti nel sottosuolo; il tratto dell'acquedotto Felice che dalle Mura arriva fino a piazza Lodi ingloba comunque una delle gradinate.

Le Mura a questo punto piegano ad angolo retto per appoggiarsi alle arcate dell'acquedotto Claudio, con il quale arriviamo a porta Maggiore. Questa era il prospetto monumentale dell'acquedotto nel punto in cui esso scavalcava le vie Prenestina e Labicana, e fu fortificato prima da Aureliano, e poi incluso in una grossa struttra difensiva al tempo dell'imperatore Onorio; questi realizzò anche una controporta dal lato interno e un barbacane (bastione avanzato) dal lato esterno, inglobando il sepolcro del fornaio Eurisace; tutto questo è stato però demolito nel 1838 per ragioni di viabilità, lasciando il sepolcro di Eurisace isolato come doveva apparire al tempo di Aureliano.


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COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 10 agosto 2003