Il Parco degli Acquedotti


Il Parco degli Acquedotti
Il Parco degli Acquedotti

Il tempio della Fortuna Muliebre e la leggenda di Coriolano

Raggiungiamo via del Quadraro, dov'è il confine tra il IX e il X Municipio. Questo confine cade, per una straordinaria coincidenza storica, proprio lì dove era uno dei più importanti confini dello stato romano primitivo, teatro di battaglie e di episodi leggendari; primo fra tutti quello di Coriolano.

Appena cacciati i Re da Roma (509 a.C.), la città si trovò a dover fronteggiare le invasioni dei Volsci che provenivano dal Lazio meridionale.

Protagonista della guerra con i Volsci fu il giovane Gneo Marcio, appartenente ad una potente famiglia patrizia; egli ottenne uno straordinario successo con la conquista, nel 493 a.C., della città di Corioli, e divenne così famoso da ricevere il nome di "Coriolano".

In quello stesso periodo feroci lotte dividevano i patrizi dalla plebe, che reclamava nuovi diritti di parità con la classe nobiliare, ottenendo infine il Tribunato della Plebe; tuttavia, in occasione di una carestia, grave al punto che si dovette importare il grano dall'estero (dalla Sicilia), Coriolano propose che la distribuzione del grano alla plebe fosse concessa solo dopo l'abolizione del tribunato.

A questa proposta la plebe insorse, e accusò Coriolano di sovvertire le leggi della Repubblica, cioè di essere un traditore.

Coriolano, prevedendo una condanna, cercò rifugio presso la capitale dei Volsci (Anzio) e, dopo aver riorganizzato il loro esercito, partì alla conquista delle città latine, muovendo infine alla conquista di Roma.

Dove siamo ora è il IV miglio della via Latina, luogo in cui correvano le Fossae Cluiliae, un fossato costruito dell'ultimo Re di Albalonga C. Cluilius (prima del combattimento tra gli Orazi e i Curiazi); egli, conducendo l'esercito contro Roma, si fermò sulla via Latina più o meno a questa distanza dalla città e scavò la fossa di difesa del suo accampamento, seguendo il confine tra lo stato romano e lo stato di Albalonga. In questo luogo, limite sacro e inviolabile di Roma, Coriolano stabilì di piantare l'accampamento.

I Romani, per patteggiare la pace, inviarono allora consoli, generali, tutte le più alte cariche dello Stato, ma inutilmente. Alla fine giunsero da Roma, accompagnate dalle matrone romane, la madre Veturia e la moglie Volumnia; ma quando Coriolano corse da loro per abbracciarle, Veturia lo fermò dicendo (secondo la leggenda): "Prima che tu mi abbracci, vorrei sapere se sono venuta a far visita a mio figlio o ad un nemico della patria". Allora Coriolano, turbato da questo gesto della madre, rinunciò ad attaccare e riportò i Volsci ad Anzio.

Con la nostra mentalità nazionalistica saremmo portati a giudicare Coriolano un doppio traditore, avendo prima tradito i Romani e poi i Volsci; nella mentalità antica il concetto di nazione era più sfumato, e così Coriolano venne celebrato come eroe sia dai Romani che dai Volsci, tra i quali visse onorato e rispettato fino alla tarda vecchiaia.

Sul luogo dell'accampamento le donne, che avevano ottenuto un successo prestigiosissimo a scapito di pontefici e senatori, vollero innalzare un tempio dedicato alla loro dea Fortuna, chiamata appunto Fortuna Muliebre; la nostra Fortuna è però completamente differente dalla dea antica, che accompagnava gli uomini nelle buone e nelle cattive vicende.

Naturalmente il Senato obiettò che la costruzione di templi è esclusiva competenza statale, e costruì l'edificio col denaro pubblico; le donne chiesero allora di collocare almeno una statua dedicata alla loro dea, ma il Senato si oppose e ne collocò una propria.

Tuttavia, il giorno della inaugurazione del tempio, all'interno erano presenti due statue, perché una era stata collocata dalle donne notte tempo; ne seguì un'accesa discussione durante la quale la statua delle donne si mise prodigiosamente a parlare, dicendo che solo donne sposate avrebbero potuto prestare il servizio di culto. Così fu infatti stabilito da allora in poi.

Nel tempio, gli archeologi riconoscono uno dei vetustissimi santuari legati al rito degli Arvali, che definivano l'antico confine di Roma primitiva. Purtroppo l'edificio, per quanto sia rimasto attivo fino al tardo impero, non è stato più identificato; tuttavia una traccia inattesa è arrivata dai ritrovamenti effettuati di recente in questo punto, durante gli scavi per l'ampliamento della ferrovia Roma-Napoli (tracciata nel 1888-'89).

Gli scavi a via del Quadraro
Gli scavi a via del Quadraro

Dietro invece alla leggenda delle due statue gli storici hanno riconosciuto i due aspetti della dea Fortuna dei Volsci: uno la raffigura armata e uno matronale; al museo di Palestrina è ancora conservata una statua che la raffigura in entrambe le caratteristiche. La presenza del tempio dedicato alla dea proprio in questo luogo va probabilmente ricondotta alla celebrazione, al tempo della guerra con i Volsci, del cosiddetto rito della "evocatio", con il quale i Romani, prima di affrontare il nemico, intendevano supplicare la divinità che proteggeva gli avversari di abbandonarli e quindi di scendere in campo in favore di Roma.

Approfondisci:
la cerimonia della "evocatio"

Attraversando via del Quadraro passando sotto le arcate dell'acquedotto Felice, raggiungiamo l'area dello scavo che, guardando verso i Colli Albani con le spalle all'acquedotto Felice, ha portato alla luce: muri in opera quadrata di tufo altri 2,5 metri di un edificio di età repubblicana (trasformato in monumento sepolcrale nel III sec. d.C.), con al di sotto tre cisterne comunicanti tra loro; un locale absidato del III sec. d.C. con elementi di mosaico, di tufo e marmo, affiancato dal basolato di una derivazione della via Latina; più avanti, la lunga base rettangolare di un albergo con impianto termale, accanto al quale sono state trovate una trentina di sepolture incassate nel terreno; più avanti, una grande insula sacra con la piattaforma circolare di un grande tempio o di un mausoleo, e accanto un sepolcro ipogeo con la volta decorata da stucchi accuratissimi, rappresentanti un ghepardo, grifoni, una finta porta con ante e battenti, motivi decorativi vari, piccoli animaletti, grappoli d'uva, figure maschili e femminili, personaggi mitologici; ancora oltre un piccolo colombario in opera reticolata e laterizio; infine il basolato sconnesso della via Latina e numerosi reperti archeologici.

Gli scavi a via del Quadraro: particolare
Gli scavi a via del Quadraro: particolare

Questi ritrovamenti indicano come la Roma imperiale, non avendo problemi di difesa, si fosse espansa nel suburbio; la campagna, con le sue ville, i sepolcri, gli alberghi era urbanizzata al punto di essere una vera e propria città-regione.

Ora l'area archeologica è stata ricoperta, e non se ne conosce quale sarà la destinazione futura. E'comunque possibile dare un'occhiata all'area, non fosse altro che per ammirare le arcate dell'acquedotto di Claudio subito oltre l'acquedotto Felice; è questo il punto in cui le arcate in opera quadrata raggiungono la massima altezza di 27-28 metri, con pile di straordinario slancio.

L'acquedotto Claudio a via del Quadraro
L'acquedotto Claudio a via del Quadraro

La villa delle Vignacce

Un sentiero costeggia l'acquedotto Felice, fino ad attraversarlo sotto una arcata; siamo così all'interno del complesso della villa delle Vignacce, una tra le maggiori ville del suburbio romano. Uno dei resti più evidenti, adiacente all'acquedotto, è la cisterna che serviva la villa, in opera reticolata e laterizio. E' abbastanza ben conservata sia perché, essendo destinata a riserva d'acqua, è molto robusta, sia perché abitata fino agli anni '60; il basamento è il piano della cancellata, e sopra c'erano quattro enormi stanze che contenevano parecchie tonnellate d'acqua.

La cisterna doveva essere collegata all'acquedotto Marcio e funzionare come un cassone, per fornire l'acqua anche in caso di interruzione del collegamento; in effetti l'acqua trasportata dagli acquedotti era pubblica, e serviva le più di 1000 fontane, le grandi terme o alcune necessità imperiali. Il collegamento di una villa privata ad un acquedotto avveniva a pagamento, ma magari l'imperatore, quando desiderava premiare un personaggio che aveva reso un importante servizio allo Stato, talvolta concedeva l'allaccio, quindi la disponibilità di acqua corrente dentro la propria abitazione.

Il collegamento tra l'acquedotto Marcio e la cisterna
Il collegamento tra l'acquedotto Marcio e la cisterna

Per riconoscere ora gli altri edifici della villa dobbiamo impegnare ogni nostra risorsa immaginativa. Infatti, benché questa sia una delle pochissime aree pubbliche sistemate a giardino all'interno di tutto il Parco regionale dell'Appia Antica, la villa presenta pochi resti emergenti in quanto la zona è stata ricoperta da grandi quantità di materiale di risulta durante la costruzione del vicino quartiere all'inizio degli anni '70.

Puntiamo quindi direttamente verso le case; siamo su un enorme terrapieno artificiale a forma di quadrilatero, lungo 200 m e largo 135 m, che corre quasi parallelamente a via Lemonia; su di esso si estende la villa che così risultava sopraelevata rispetto al territorio circostante. Dei vari edifici appartenuti alla villa il primo che vediamo è l'anticamera rettangolare al di là della quale troviamo le quattro pareti di una stanza più grande anch'essa rettangolare, in origine coperta con la tecnica della volta a crociera, e con i resti di un abside sulla destra.

A destra di questo edificio troviamo un muro che doveva essere il lato interno di una sala circolare, in origine coperta a cupola, e circondata da stanze absidate; queste erano più basse e coperte con la tecnica della volta a botte, e di esse resta soltanto un brandello di muro dal lato opposto. Le anfore vuote che si riconoscono in alto, inglobate nella struttura, servono ad alleggerire la muratura: è una tecnica che si diffonderà in età costantiniana, e che ritroviamo nei muri di sostegno delle gradinate del Circo di Massenzio sulla via Appia Antica.

Torniamo ora alla stanza con l'anticamera e oltrepassiamola; qui abbiamo alcune pareti di quella che doveva essere una vasta aula rettangolare absidata con due nicchie su ciascun lato, forse un ninfeo; l'aula è preceduta da una coppia di stanze, dei quali la prima (quella esterna) era più stretta e coperta con la tecnica della volta a botte, mentre la seconda (quella interna) era più larga e coperta con la tecnica della volta a crociera; la coppia di stanze si ripeteva simmetricamente dall'altro lato dell'aula centrale, ricordando un po' una basilica a cinque navate.

Guardando verso via Lemonia, abbiamo di fronte a noi un terrazzo lungo ben 120 metri, parallelo alla strada; ne resta solo la fontana absidata centrale, che si riconosce nel rudere isolato davanti a noi. I ruderi che si vedono verso nord sono infine altre cisterne d'acqua collegate alla villa.

La costruzione della villa, forse tra il 125 e il 130 d.C., è stata attribuita, in seguito al ritrovamento di fistule plumbee con il suo nome, a Quinto Servilio Pudente, originario dell'Africa proconsolare, proprietario di grandi fabbriche di mattoni all'epoca dell'imperatore Adriano; la villa si inserisce quindi nello schema delle ville suburbane di cui abbiamo già parlato a proposito della villa di Demetriade.

Approfondisci:
la villa suburbana

Si suppone che la villa fosse di proprietà imperiale alla fine del II sec. d.C., ma è certo che in età costantiniana era inclusa nel predio imperiale che si estendeva dalla Prenestina alla Tuscolana ed il cui centro era la villa "ad duas Lauros". Il collegamento tra la via Latina e le vie Tuscolana, Casilina e Prenestina era probabilmente la strada di epoca imperiale scoperta nel 1999 in via Fabrizio Luscino durante i lavori effettuati dall'Albacom.

Accanto alla strada sono state trovate anche cinque tombe "a cappuccina" (cioè coperte con due tegole e un coppo tipo tenda da campeggio) in condizioni quasi perfette; non sono venuti alla luce né gli elementi funerari a corredo delle salme, né la moneta dentro la bocca che nella tradizione antica serviva al morto per pagare a Caronte il viaggio nella vita eterna: i teschi e le ossa umane apparterrebbero quindi a gente povera.

scheletro
Uno degli scheletri scoperti in via F. Luscino (da Città 2001, anno 2 n. 3 marzo 2000)

Dei cinque sepolcri di via Luscino quattro sono stati ricoperti; il lastricato con accanto una tomba con scheletro sono visibili sotto la copertura trasparente curata dal Municipio insieme all'Albacom.

Tornando verso la villa delle Vignacce, fermiamoci in via G. Menio per osservare il cortile di un palazzo: vi troviamo i resti di una villa romana.

resti di villa romana
resti di villa romana in via Gaio Menio (da Città 2001, anno 2 n. 3 marzo 2000)

La marrana dell'acqua Mariana

Riattraversiamo quindi l'acquedotto Felice e seguiamo il sentiero che serpeggia al centro tra l'acquedotto e una fila di orti. L'acquedotto papale conduce le acque captate a Pantano Borghese (circa 50 metri cubi d'acqua ogni minuto) in sotterranea fino a sovrapporsi all'acquedotto Marcio al casale di Roma Vecchia. In questo tratto che va dal casale al Quadraro, l'acquedotto si presenta con un muro continuo in calcestruzzo ricco di malta, utilizzando frantumi di laterizi, pietrame e tufo crollati o ricavati dagli antichi acquedotti, con piccole aperture per il passaggio. Qua e là si riconoscono i piloni originali dell'acquedotto Marcio, in opera quadrata di peperino e tufo rosso dell'Aniene, ed anche i rinforzi costruiti già in epoca romana.

Raggiungiamo il fosso della marrana dell'acqua Mariana. Costruito da papa Callisto II nel 1120, quando gli acquedotti antichi già non funzionavano più per la mancanza di manutenzione o per le demolizioni barbariche, il rivo riportò a Roma l'acqua delle sorgenti Tepula e Iulia, fornendo nello stesso tempo forza motrice ai mulini del Laterano e del Circo Massimo. Il canale era a cielo aperto, tranne per un tratto di 940 m all'altezza di Casal Morena, dove fu utilizzato il condotto sotterraneo dell'acquedotto Claudio; il fosso segue quindi il crinale dello spartiacque tra il bacino del Tevere e dell'Aniene, costeggia il casale di Roma Vecchia, e si intuba all'altezza di porta Furba; di lì, il condotto segue via del Mandrione fino a villa Lais, quindi si dirige verso porta Metronia, scende nella valle del Circo Massimo e infine si getta nel Tevere.

Il nome "marrana", nato nel medioevo per la presenza lungo il percorso di un certo fundus maranus, divenne "acqua Mariana" nel Rinascimento; la parola "marana" passò allora ad indicare genericamente tutti i fossi del suburbio di Roma. Oggi l'acqua Mariana è una specie di fogna.

La torretta e la tomba dei Cento Scalini

Proprio accanto al fosso, alcune centinaia di metri più a valle, spicca in mezzo agli orti e alle baracche un pezzo di una torretta medievale costruita con la solita tecnica dei tufelli parallelepipedi, e quindi risalente al XIII sec.; la torre, che doveva servire come difesa e segnalazione per il casale di Roma Vecchia, fu costruita su una cisterna quadrata in opus signinum; questo è un tipo durissimo di muratura ottenuto con scaglie di selce frantumate, allettate e costipate nella calce magra, utilizzato particolarmente nella costruzione delle cisterne. Di questa cisterna resta infatti ancora la volta a botte, che è il tipo più semplice di copertura ad arco di un ambiente rettangolare; deriva direttamente dal prolungamento di un arco romano, e scarica il proprio peso in modo uniforme sui due muri che la sostengono.

Poco più avanti, tra l'acquedotto di Claudio e la ferrovia, troviamo una piattaforma di cemento con una grata: vi si nasconde la "tomba dei cento scalini", così chiamata per i cento scalini che occorre scendere per raggiungerla. Nella camera funeraria alcuni arcosoli ospitano sarcofagi in marmo non levigato con acroteri angolari, simili al sarcofago all'interno del sepolcro dei Pancrazi nel Parco archeologico della via Latina; dalla camera partono anche alcuni cunicoli, che hanno fatto supporre un adattamento a catacomba.

Tomba dei cento scalini
Tomba dei cento scalini

La tomba è stata utilizzata come immondezzaio fino ai primi anni '90; dopo una segnalazione di possibili messe nere, l'ingresso è stato bloccato e non è più possibile accedervi.

tomba dei Cento Scalini
L'interno della tomba dei Cento Scalini: la parete di fondo

tomba dei Cento Scalini
L'interno della tomba dei Cento Scalini: sarcofago aniconico di marmo con acroteri angolari

Approfondisci:
il rapporto dei Romani con la morte

Approfondisci:
l'architettura funeraria romana

Qui le arcate dell'acquedotto Claudio mostrano sia i piloni originali in peperino che i rinforzi in laterizio di età adrianea; in qualche caso si vede solo il rinforzo con l'impronta in negativo dei blocchi di peperino, che furono asportati essendo più semplici da riutilizzare in confronto al mattone. Seguendo l'acquedotto verso il casale di Roma Vecchia, dopo un centinaio di metri si vede per terra un pezzo crollato del condotto dell'acquedotto Anio Novus; osserviamo attentamente: i muri laterali sono costruiti colando il calcestruzzo tra due paramenti, cioè due pareti di mattoni che formavano la superficie esterna e interna.

Il calcestruzzo romano era ottenuto con un conglomerato di sassi e malta, formata in generale da calce impastata con sabbia o pozzolana, ma sia la quantità che la qualità delle due componenti potevano variare moltissimo a seconda del periodo, del luogo, dell'architetto, del costo e del genere di edificio. Con la malta erano impastati sassi, scaglie di tufo o di selce, pezzi di mattoni ecc., formando così un conglomerato solido quanto poco costoso.

Le pareti interne del condotto sono poi rivestite di coccio pisto, un tipo di intonaco impermeabile ottenuto impastando la calce con frammenti di mattoni. Si vedono anche le incrostazioni di calcare che formano come degli anelli concentrici, le cui differenze testimoniano i cambiamenti con il tempo della qualità dell'acqua.

Il casale di Roma Vecchia

Seguiamo il viottolo che costeggia una serie di orti abusivi sorti accanto al ruscello dell'acqua Mariana, e raggiungiamo il casale di Roma Vecchia, che sorge proprio dove correva la via Latina, in un punto in cui doveva esistere un punto di sosta già in età antica.

Approfondisci:
l'origine, la storia e il percorso della via Latina

L'edificio, almeno nella parte centrale, risale al XIII sec. Le pareti sono formate con la consueta tecnica dei blocchetti parallelepipedi di peperino, intervallati da blocchetti di selce e scaglie marmoree; l'esterno presenza alcune finestre rettangolari con stipiti marmorei.

Si tratta di un casale-torre, strategicamente situato tra i condotti dell'Acqua Claudia e Marcia, che erano controllati dalla torretta accanto alla Marrana. Il nome del casale deriva alla località dalle grandiose rovine della villa dei Sette Bassi, che si trova più avanti; la loro estensione era tale che nei secoli scorsi venivano credute appartenenti ad un'altra città antica simile a Roma.

Approfondisci:
la feudalizzazione della Campagna Romana

All'interno del cortile si trovano numerosi reperti archeologici (anfore, frammenti marmorei di ogni genere, cornici ed architravi, colonne e capitelli, iscrizioni, statue e sarcofagi) trovati durante gli scavi fatti eseguire dai Torlonia nel 1830.

Le arcate dell'acquedotto Marcio

Poco più avanti del casale di Roma Vecchia trovavamo fino al 2003 un laghetto artificiale alimentato dall'acqua dell'acquedotto Felice.

laghetto
Il laghetto accanto al casale di Roma Vecchia

Nel 2003 il canale sotterraneo dell'acquedotto Felice è crollato nei pressi di Tor Vergata, e il laghetto è rimasto a secco. Accanto possiamo osservare un altro tratto originale dell'acquedotto Marcio non sostituito dal Felice, la cui sommità emerge al di sopra degli archi infossati nel terreno. Facciamo attenzione ai colori del tufo: sono almeno tre qualità differenti, cioè il peperino (verde-grigiastro) per l'arco, il tufo di Grotta Oscura (giallo) per il sostegno del canale, di nuovo il peperino per le lastre alla base e alla sommità del canale, e infine tufo dell'Aniene (rosso) per le pareti laterali del canale.

acquedotto Marcio
L'acquedotto Marcio a viale Appio Claudio

Approfondisci:
l'acquedotto Marcio

Approfondisci:
Il tufo nell'architettura Romana

Sopra l'acquedotto Marcio corre il canale dell'Aqua Tepula, abbastanza malridotto; una parete presenta anche una apertura a doppio spiovente, che doveva essere collegata ad una diramazione dell'acquedotto. Infine, poco o nulla rimane del canale dell'Aqua Iulia che correva ancora più in alto.

Approfondisci:
gli acquedotti dell'Aqua Tepula e dell'Aqua Iulia

Accanto corrono le arcate dell'acquedotto Claudio, intatte per ben 1400 metri. Sui piloni si riconoscono tracce calcaree dovute al trasudo, spesso presente nonostante l'accuratezza nella costruzione e nell'impermeabilizzazione con intonaco idraulico.

Approfondisci:
gli acquedotti di Claudio e Anio Novus

Approfondisci:
l'approvvigionamento idrico dei Romani

Se da questo punto percorriamo viale Appio Claudio in direzione via Appia Nuova, dopo pochi metri attraversiamo la prima delle due linee ferroviarie per Napoli, che passa per Formia; prima di attraversare anche la seconda, che passa per Cassino, giriamo a destra: nel terreno adiacente a questa seconda ferrovia è stata trovata, di nuovo durante gli scavi del 1998 per il quadruplicamento della linea ferroviaria, una scalinata che, attraversati un corridoio coperto con volta a botte, e una porta con stipiti e architrave in travertino, porta a un sepolcro ipogeo del III sec. d.C., in opera listata, coperto con volta a crociera, probabilmente riutilizzato anche nel medioevo. Accanto al sepolcro sono state trovate le fondamenta di numerosi edifici, di cui non è stata tentata l'identificazione.

Tornati al viale Appio Claudio seguiamo il magnifico viale alberato in direzione di via delle Capannelle: sulla nostra destra il fosso dell'acqua Mariana più o meno ripercorre il tracciato della via Latina. Nell'alveo è stato infatti trovato, durante i lavori di sistemazione condotti dal Comune di Roma nel 1999, un tratto del basolato della strada.

Basolato della via Latina
Il basolato della via Latina nell'alveo della marrana dell'Acqua Mariana

Più avanti incontriamo il vecchio casello ferroviario di una delle più antiche ferrovie d'Italia, costruita nel 1862 da Pio IX, che da Termini attraverso Velletri e Segni, raggiungeva Ceprano, confine dello Stato Pontificio.

La villa dei Sette Bassi

Raggiunta via delle Capannelle, finalmente siamo all'ultima tappa del nostro itinerario. Di fronte a noi sorgono le imponenti rovine della villa dei Sette Bassi, una delle maggiori ville imperiali di tutto il suburbio romano, tale da far credere, come abbiamo detto, in passato, che la villa fosse piuttosto una piccola città.

La villa dei Sette Bassi
La villa dei Sette Bassi

Entriamo passando per l'ingresso del casale colonico, in via Tuscolana poco oltre l'incrocio con via delle Capannelle. Da questo punto fino alla stazione della metropolitana di Anagnina era la pars rustica, cioè l'azienda agricola che, come ad esempio per il Triopio di Erode Attico, era associata alla villa residenziale.

Approfondisci:
la villa suburbana

La villa vera e propria era composta di tre corpi contigui eretti in tre fasi diverse, che comprendono: verso la via Latina grandi sale di ricevimento, fastosi cubicoli, una balconata finestrata ed un belvedere semicircolare colonnato con corridoio interno; a nord-ovest, vaste aule a più piani su un terrazzamento alto 5 metri; a nord-est un impianto termale; a sud-ovest due ampie sale di soggiorno crollate nel 1951. Completano il quadro il grande ippodromo-giardino e il lungo "criptoportico".

Poco lontano dalla villa, nel campo a nord-est, sorge infine un piccolo tempio laterizio "in antis", cioè con la facciata che presenta i due muri laterali leggermente avanzati (formando così due "ante"), della fine del II sec.d.C.

Il tempietto laterizio
Il tempietto laterizio

L'antico proprietario della villa non è stato identificato con certezza; potrebbe essere un certo Settimio Basso (da cui il nome medievale di "villa dei Sette Bassi"), prefetto di Roma al tempo di Settimio Severo, o un altro Settimio Basso console sotto Costantino.


Adesso se vuoi puoi tornare all'area di Tor Fiscale e del Campo Barbarico.


Per tornare alla home page:
Notizie su Municipio Roma IX, Caffarella, Appia Antica e Tang. Est


copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 15 settembre 2005