Probabilmente nessuno sa che la prima ipotesi di "parco archeologico" risale al 1809, quando il prefetto napoleonico conte Camillo de Tournon decise di creare un gigantesco parco dal Campidoglio sino ai Colli Albani, lungo la via Appia Antica, sotto la direzione di grandi artisti come Luigi Canina e Antonio Canova 1.
L'idea del parco archeologico fu ripresa solo nel 1931 dal Piano Regolatore, che definì tutto il comprensorio della via Appia Antica come "zona di rispetto".
Cosa intendevano gli urbanisti del Fascismo con la parola "rispetto" fu svelato da due Piani Particolareggiati (il n. 49 del 1937 e il n. 82 del 1939), che avrebbero dovuto concretizzare le indicazioni del Piano Regolatore. Quei piani, che abbandonavano la via Latina all'edificazione intensiva (con conseguente distruzione di importantissime presenze archeologiche), prescrissero che persino le aree da "rispettare" potevano essere edificate a condizione che:
Sempre durante il Fascismo vennero promulgate due leggi importanti: la legge legge 1 giugno 1939 n. 1089 "Tutela delle cose d'interesse artistico e storico", e la legge 29 giugno 1939 n. 1497 "Protezione delle bellezze naturali". Queste leggi sono importanti perché, confluite nel decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio", ancor oggi, dopo oltre sessantacinque anni, sono lo strumento di tutela del patrimonio storico, artistico e ambientale italiano.
In base a tali leggi lo stato ha la facoltà di "vincolare" un monumento o un'area per mezzo di un decreto ministeriale; i legislatori del 1939 erano però dei furbacchioni, difatti il vincolo non comporta la protezione assoluta del bene, ma semplicemente che qualsiasi modifica deve essere preventivamente approvata dagli organi competenti, che oggi sono:
Ognuno provi a immaginare quale protezione avrebbe un monumento come Sant'Urbano: come tempio romano è sotto la Soprintendenza Archeologica, come chiesa medievale è sotto la Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, e infine per gli affreschi è di competenza della Soprintendenza per il il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico. E invece non solo fino al 1 giugno 1993 S. Urbano non era neanche vincolato, ma addirittura il monumento, acquisito dal Comune di Roma nel febbraio 2001, restava inaccessibile ancora nell'aprile 2002!
In realtà le due leggi del '39 sono così superate, che mentre i monumenti ancora da vincolare sono tanti, c'è voluto l'intervento straordinario dello Stato in occasione del Grande Giubileo del 2000 per ottenere il restauro del Colombario Costantiniano, del ninfeo di Egeria, della Torre-ponte e di alcuni monumenti lungo la via Appia Antica. Ancora oggi il tempio del Dio Redicolo (acquisito dal Comune di Roma nel 2000), la villa romana sotto via de Bildt (apparentemente acquisita dal Comune di Roma nel 2000), S. Urbano (acquisito dal Comune di Roma nel febbraio 2001) e il Colombario dei Liberti di Augusto (privato) sono rimasti a tutt'oggi esclusi da qualsiasi intervento; la proprietà "Pinna" in via Appia Antica n. 55 (privata) è vincolata, ma non è visitabile. E se questo è vero per la Caffarella, figuriamoci cosa succede nel resto del territorio della via Appia Antica e della via Latina!
Nella consapevolezza della difficoltà di imporre il vincolo archeologico su tutti i singoli monumenti, negli anni '50 si diffuse l'idea di vincolare l'intero comprensorio della via Appia Antica come bellezza naturale 2; così nel 1953 e nel 1954 due decreti del Ministero della Pubblica Istruzione (D.M. 14 dicembre 1953 e D.M. 19 ottobre 1954) ne sottoposero tutto il territorio a vincolo paesistico.
Come la legge 1089/39, anche la legge 1497/39 non ha mai determinato la protezione assoluta del bene; essa viceversa prevedeva che le aree vincolate fossero sottoposte ad un "Piano Territoriale Paesistico" (così come oggi il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che siano sottoposte ad un "Piano paesaggistico") , che fissi la massima edificabilità delle zone vincolate, costituendo così lo strumento per stabilire se una autorizzazione deve essere data o meno.
I lavori di stesura del Piano Paesistico della via Appia Antica furono molto travagliati: mentre la prima stesura (del 1955) sanciva, almeno per quanto riguarda la Caffarella, l'inedificabilità dell'intera superficie, la stesura definitiva (D.M. 11 e 22 febbraio 1960), dopo ben 5 anni di revisioni, decretava l'edificabilità di quasi tutto il territorio dell'Appia Antica (4.826.782 metri cubi su un territorio di 2157 ha), consentendo solo nella Caffarella la costruzione di 1.010.824 mc di villette; i fautori della salvaguardia della valle potevano ben dirsi sconfitti, i proprietari esultanti, la cultura umiliata.
Questo famigerato Piano Paesistico, che è ancora in vigore, doveva già essere sostituito dal Piano Paesistico previsto dalla legge Galasso (il termine per la sua approvazione da parte della Regione era il 31 dicembre 1986, ma la bozza è stata presentata solo nel maggio 2001), e dal 2004 dovrebbe essere sostituito dal Piano paesaggistico previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio; la cancellazione definitiva potrebbe anche derivare dall'approvazione del Piano del Parco regionale dell'Appia Antica, adottato nel luglio 2002, trasmesso alla Regione Lazio nel gennaio 2003 e da allora rimasto chiuso in qualche cassetto.
Negli anni '60 si stava elaborando un nuovo Piano Regolatore Generale per la città di Roma; mentre il Consiglio Comunale, nella stesura del 1962, abbandonava la Caffarella al Piano Paesistico, l'allora ministro ai Lavori Pubblici (on. Giacomo Mancini), al momento di approvare la stesura del Consiglio Comunale, bocciò tutta la parte che riguardava la via Appia Antica e impose di destinare tutta l'area a "parco pubblico"; va comunque detto che questa vittoria non sarebbe stata possibile senza il clamore sollevato da alcuni studiosi e dalla associazione Italia Nostra.
La Caffarella nel PRG di Roma del 1965; in rosso il coseddetto Asse Attrezzato
Nel 1971 venne promulgata una legge che limitava il costo dei terreni da espropriare al loro valore agricolo, cioè tra 0,005 EURO/mq (terreni incolti) e 1 EURO/mq (colture pregiate) più un'eventuale indennità di fabbricato.
Approfittando dell'occasione, il 28/11/1972 il Consiglio Comunale deliberò l'esproprio di circa 73 ha di Caffarella al prezzo di 307.303.780 £; nel 1976 il Presidente della Giunta Regionale del Lazio ufficializzò l'esproprio e autorizzò il Comune a prendere possesso dell'area.
Immediata fu la reazione dei proprietari: infatti il marchese Alessandro Gerini, allora proprietario di quasi tutta la Caffarella (alla sua morte la proprietà è passata alla Fondazione Gerini), approfittò di una serie di cavilli burocratici per presentare ricorso al TAR del Lazio, indicando ogni motivo possibile immaginabile:
I primi 6 mesi del 1980 riuscirono a vanificare tutto quello che si era realizzato in 8 anni:
in gennaio la Corte Costituzionale dichiarò l'illegittimità del sistema di determinazione degli indennizzi di esproprio, stabilendo che l'indennità di esproprio si sarebbe dovuta basare sul reale valore del terreno, quindi anche sul valore del suolo quale area edificabile.
in giugno il Consiglio di Stato accolse la motivazione (c) del ricorso, annullando così sia la sentenza del TAR sia l'esproprio del 1972; automaticamente, tutte le aree furono retrocesse ai precedenti proprietari.
Al fine di rientrare rapidamente in possesso dell'area, il Comune diede al Servizio Giardini l'incarico di disegnare rapidamente un Piano Particolareggiato per quasi tutta la Caffarella (180 ha circa); alla fine del 1980 il Piano era terminato, e quindi il Comune era pronto per ricominciare l'iter espropriativo.
In realtà, durante gli anni '80 le diverse amministrazioni comunali hanno deciso di abbandonare la Caffarella, e tuttavia sono riuscite a farci credere il contrario con la approvazione di varie delibere senza efficacia; infatti:
In realtà il Comune, che avrebbe potuto spendere addirittura 56 miliardi di lire, non ha eseguito nessun atto concreto.
Dal 1980 al 1987 alle incertezze del Comune (il quale, dopo l'annullamento dell'esproprio, trascurò di restituire gli atti di proprietà dei terreni) è corrisposto il completo disinteresse dei proprietari (i quali, in mancanza degli atti di proprietà, hanno ritenuto di non avere alcun obbligo nei confronti della Caffarella). Così le aree più esterne hanno subito sia il deposito incontrollato di migliaia di tonnellate di rifiuti, sia l'assalto di centinaia di orticoltori abusivi che hanno trasformato la Valle in una "bidonville".
In seguito alle denunce, diffide, esposti, petizioni, promossi dal Comitato per il Parco della Caffarella, firmati da migliaia di cittadini, e costantemente ignorati dalla Pubblica Amministrazione, è intervenuto il Pretore Gianfranco Amendola, il quale, il 4/3/1987, ha posto sotto sequestro circa 40 ha di Caffarella, costringendo il Comune a ripulire parzialmente la valle, ad abbattere alcune delle baracche e a restituire gli atti di proprietà dei terreni espropriati 15 anni prima. Appena però il Pretore ha smesso di tenere il Comune sotto pressione, la Caffarella è subito ritornata "terra di nessuno"; cosi, già durante l'estate '87, è ripreso lo scarico dei rifiuti e il frazionamento da parte degli orticoltori.
All'inerzia del Comune fece degna compagnia la Regione Lazio che, sul finire del 1988, promulgò la legge regionale 10 novembre 1988 n. 66 "Istituzione del parco regionale suburbano dell'Appia Antica" (che comprende anche la Caffarella).
Questa legge era talmente caotica e contraddittoria da impedire ogni possibilità di funzionamento, eppure, per quanto avessimo proposto al Consiglio Regionale una serie di emendamenti che avrebbero reso la legge più "efficace", la nostra proposta non fu neanche presa in considerazione.
Così, il 25 novembre 1990 scadono i vincoli posti dalla legge regionale, e il territorio dell'Appia Antica (che è ancor oggi quasi completamente privato) torna sotto il famigerato P.T.P. del 1960, che porta ancora con sé tutte le sue abominevoli previsioni di edificabilità.
Per fortuna, un mese più tardi la stessa Regione Lazio approvò una legge che limita a 0,03 mc per mq l'edificabilità delle aree nelle quali i vincoli di P.R. sono scaduti; il territorio dell'Appia Antica era proprio in tale situazione, per cui, in Caffarella, fu possibile in quel periodo costruire "solo" 50.000 mc di villette.
Questo però non deve far dimenticare le numerose conseguenze negative che il parco regionale ha provocato:
La Regione Lazio nel 1997 rivedrà completamente la disciplina delle aree protette, in parte accogliendo le indicazioni date dal Comitato per il Parco della Caffarella, attraverso la legge regionale 6 ottobre 1997 n. 29 "Norme in materia di aree naturali protette regionali". Un nuovo Consiglio Direttivo, più efficiente e motivato, si insedia nell'aprile 1998.
Il 15 dicembre 1990 il Parlamento ha approvato la Legge n. 396 "Interventi per Roma, capitale della Repubblica"; questa legge ha, tra gli obiettivi prioritari, anche la creazione del Parco dell'Appia; la legge mette infatti a disposizione del Comune una grande quantità di denaro, in particolare: 100 miliardi di lire esclusivamente per S.D.O., parco dell'Appia e villa Ada, più 340 miliardi di lire per l'insieme delle opere per Roma capitale (altri parchi, anello ferroviario ecc. ecc.).
Il programma di interventi approvato dalla Giunta Carraro ha quindi destinato all'esproprio della Caffarella la cifra di 26 miliardi di lire, presa dal fondo esclusivo di 100 miliardi; dallo stesso fondo escono altri 26 miliardi per villa Ada, e il resto (48 miliardi di lire) va per l'avvio dello S.D.O. (sono previsti anche 3 miliardi per studi e progetti relativi al parco dell'Appia Antica e dell'area centrale).
La legge per Roma capitale stabilisce anche un nuovo criterio per la determinazione degli indennizzi per gli espropri (riconfermato dalla legge sul risanamento della finanza pubblica), come media tra il valore di mercato del terreno ed il relativo reddito dominicale (che significa da 9 EURO/mq a 3,50 EURO/mq a seconda del valore dei terreni); se il proprietario cede volontariamente il terreno riceve tale cifra, altrimenti ne riceve solo il 60%.
A partire dal 1981, mentre Comune e Regione erano impegnati a progettare, stanziare, programmare, discutere, approvare, istituire, nominare, pianificare, la Caffarella è rimasta abbandonata a sé stessa, e queste ne sono state le conseguenze:
Siamo giunti finalmente a raccontare il processo che ha portato alla creazione di un primo stralcio di parco pubblico, tuttavia prima vale la pena di ricordare quale era in quel tempo la reazione del maggior proprietario della valle quando veniva interpellato a proposito dell'esproprio.
Mon. Men., una ragazza che lavorava sulla propria tesi di laurea in Architettura, contattava nel settembre 1992 la Fondazione proprietaria della maggior parte della Caffarella.
Viene immediatamente ricevuta dal Ragioniere responsabile, il quale esordisce spiegando che la Fondazione non è minimamente interessata alla Caffarella; la Fondazione piuttosto aspetta che il Comune di Roma scambi l'edificabilità su alcune aree dentro il G.R.A. con la cessione gratuita della valle. La studentessa domanda perché la Fondazione, che dovrebbe avere uno scopo istituzionale di tipo sociale, non si impegna a proteggere la valle, ma il Ragioniere ha risposto che:
Di fronte alla domanda "ma non pensate al disastro di lasciare la Caffarella abbandonata magari altri 10 anni", il Ragioniere replica che in passato la Fondazione aveva persino presentato un proprio progetto per realizzare il Parco pubblico senza oneri per il Comune (si tratta del cosiddetto piano Moretti N.d.R.), ma il Comune di Roma non lo ha approvato e così da allora è tutto bloccato ... per colpa del Comune di Roma. |
Nel 1993, durante il periodo di commissariamento del Comune di Roma, il sub-commissario dott. Balsamo diede incarico all'allora direttrice dell'Ufficio Tutela Ambiente ing. Leoni di avviare la redazione del Piano di Utilizzazione della Caffarella, necessario per avviare l'iter espropriativo. Nel 1994 la Giunta comunale guidata da Francesco Rutelli confermò l'incarico alla nuova direttrice dell'Ufficio Tutela Ambiente del Comune di Roma, arch. Mirella Di Giovine. Il Piano di Utilizzazione, che era presentato pubblicamente nella primavera del 1994, viene quindi approvato (insieme al perimentro del primo stralcio dell'esproprio per un totale di circa 1230 ettari) con Accordo di Programma sottoscritto il 19 aprile 1996 dall'Assessore alla Tutela Ambientale della Regione Lazio avv. Giovanni Hermanin in rappresentanza della Regione Lazio, dal Soprintendente Archeologico di Roma prof. Adriano La Regina in rappresentanza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal Presidente del Parco regionale dell'Appia Antica dott. Antonio Cederna e dal Sindaco del Comune di Roma Francesco Rutelli; l'Accordo di Programma è quindi confermato con deliberazione del Consiglio Comunale 23 maggio 1996 n. 98 e ratificato dal Sindaco di Roma con Ordinanza n. 446 del 24 giugno 1996.
La deliberazione della Giunta Comunale di Roma n. 934 del 21 marzo 1997 approva l'esproprio e l'acquisizione di urgenza dei primi 120 ettari della Caffarella con i 26 miliardi di lire della legge per Roma capitale; da questo momento si avvia la trattativa con i proprietari, a partire dalla Fondazione Gerini cui appartiene la maggior parte della valle.
Nel settembre 1998 la Fondazioe Gerini, con l'assistenza del Comune di Roma e del IX Municipio, intraprende l'abbattimento degli orti abusivi e la bonifica delle aree degradate. Nel gennaio 1999 la Fondazione Gerini si accorda con il Comune per una cessione bonaria a circa 9 EURO/mq, nel marzo si avviano i lavori di attrezzatura a Parco finanziati per 9 miliardi di lire dal Piano degli Interventi per il Giubileo, nel maggio viene sgomberato il Tempio del dio Redicolo.
Siamo arrivati finalmente al Grande Giubileo del 2000: il 9 aprile 2000 i primi 37 ettari del Parco della Caffarella sono realtà, e nel 2001 le acquisizioni raggiungono un totale di 77 ettari. Nel maggio 2001 il Parco regionale dell'Appia Antica e il Municipio Roma IX inaugurano il Punto informativo della Caffarella, che viene affidato (senza oneri per la Pubblica Amministrazione) al Comitato per il Parco della Caffarella, nel quadro di un accordo tra Ente Parco e Associazioni Ambientaliste.
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