La storia contemporanea:

una storia "legale"



Questo capitolo non è facile da leggere; è infatti scritto per scoprire come mai, pur essendo SEMPRE TUTTI d'accordo nel volere il Parco della Caffarella, c'è voluto il Grande Giubileo del 2000 per ottenere un primo brandello di parco, e come mai ancora oggi la maggior parte della Caffarella resta in mano ai privati e sottoposta ad un incessante degrado della natura e dei monumenti.
La soluzione di questo mistero va cercata tra le righe delle leggi, delle delibere e dei regolamenti, con i quali si può promettere tutto e non realizzare niente.
Innanzitutto, per comprendere questi ultimi momenti è necessario tornare un po' indietro nel tempo:

  1. I primi passi
  2. La politica dei vincoli
  3. L'esproprio della Caffarella
  4. Le incertezze del Comune
  5. L'intervento della magistratura
  6. Il parco regionale dell'Appia Antica
  7. La legge per Roma capitale
  8. La situazione del degrado e dell'abusivismo
  9. Finalmente il Parco!


I primi passi

Probabilmente nessuno sa che la prima ipotesi di "parco archeologico" risale al 1809, quando il prefetto napoleonico conte Camillo de Tournon decise di creare un gigantesco parco dal Campidoglio sino ai Colli Albani, lungo la via Appia Antica, sotto la direzione di grandi artisti come Luigi Canina e Antonio Canova 1.
L'idea del parco archeologico fu ripresa solo nel 1931 dal Piano Regolatore, che definì tutto il comprensorio della via Appia Antica come "zona di rispetto".
Cosa intendevano gli urbanisti del Fascismo con la parola "rispetto" fu svelato da due Piani Particolareggiati (il n. 49 del 1937 e il n. 82 del 1939), che avrebbero dovuto concretizzare le indicazioni del Piano Regolatore. Quei piani, che abbandonavano la via Latina all'edificazione intensiva (con conseguente distruzione di importantissime presenze archeologiche), prescrissero che persino le aree da "rispettare" potevano essere edificate a condizione che:

  1. la superficie coperta non superasse dove il 5%, dove il 2% del totale;
  2. l'altezza massima fosse di 7,5 m;
  3. la distanza dalla strada fosse di almeno 150 m;
  4. la villa fosse coperta con tegole usate e l'intonaco fosse di colore rosso-bruno.

I Piani del Fascismo ci hanno lasciato delle "belle" testimonianze, come le facciate e le piscine di certe ville private, in cui furono cementati vasi, trabeazioni, timpani, colonne o altro "materiale" di questo tipo, trovato nei lavori di scavo delle fondamenta. Oltre a tutto questo si prevedeva pure una grande strada al centro della Caffarella, con svincolo proprio sopra il "Quo Vadis".
Altri palazzi su via Latina furono previsti dal Piano Particolareggiato n. 111 del 1949; l'anno successivo capitolò invece la via Appia Antica, quando con una deroga al Piano Regolatore venne autorizzata la costruzione dell'ospizio per bambini minorati "Pia Casa di S. Rosa".
Nel varco aperto dalla "benemerita" istituzione si precipitarono attori, diplomatici, politici ecc. per i quali la villa sulla via Appia Antica era il simbolo di un raggiunto "status" sociale (anzi, una delle mete preferite dai pullman turistici di quel tempo era proprio la sosta ammirata davanti alle ville della Lollobrigida e della Mangano). Le palazzine signorili all'incrocio tra via della Caffarella e via Appia Antica e la villa-ristorante accanto a S. Urbano sono una delle testimonianze di quel periodo storico.


La politica dei vincoli

Sempre durante il Fascismo vennero promulgate due leggi importanti: la legge legge 1 giugno 1939 n. 1089 "Tutela delle cose d'interesse artistico e storico", e la legge 29 giugno 1939 n. 1497 "Protezione delle bellezze naturali". Queste leggi sono importanti perché, confluite nel decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio", ancor oggi, dopo oltre sessantacinque anni, sono lo strumento di tutela del patrimonio storico, artistico e ambientale italiano.
In base a tali leggi lo stato ha la facoltà di "vincolare" un monumento o un'area per mezzo di un decreto ministeriale; i legislatori del 1939 erano però dei furbacchioni, difatti il vincolo non comporta la protezione assoluta del bene, ma semplicemente che qualsiasi modifica deve essere preventivamente approvata dagli organi competenti, che oggi sono:

Ognuno provi a immaginare quale protezione avrebbe un monumento come Sant'Urbano: come tempio romano è sotto la Soprintendenza Archeologica, come chiesa medievale è sotto la Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio, e infine per gli affreschi è di competenza della Soprintendenza per il il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico. E invece non solo fino al 1 giugno 1993 S. Urbano non era neanche vincolato, ma addirittura il monumento, acquisito dal Comune di Roma nel febbraio 2001, restava inaccessibile ancora nell'aprile 2002!
In realtà le due leggi del '39 sono così superate, che mentre i monumenti ancora da vincolare sono tanti, c'è voluto l'intervento straordinario dello Stato in occasione del Grande Giubileo del 2000 per ottenere il restauro del Colombario Costantiniano, del ninfeo di Egeria, della Torre-ponte e di alcuni monumenti lungo la via Appia Antica. Ancora oggi il tempio del Dio Redicolo (acquisito dal Comune di Roma nel 2000), la villa romana sotto via de Bildt (apparentemente acquisita dal Comune di Roma nel 2000), S. Urbano (acquisito dal Comune di Roma nel febbraio 2001) e il Colombario dei Liberti di Augusto (privato) sono rimasti a tutt'oggi esclusi da qualsiasi intervento; la proprietà "Pinna" in via Appia Antica n. 55 (privata) è vincolata, ma non è visitabile. E se questo è vero per la Caffarella, figuriamoci cosa succede nel resto del territorio della via Appia Antica e della via Latina!
Nella consapevolezza della difficoltà di imporre il vincolo archeologico su tutti i singoli monumenti, negli anni '50 si diffuse l'idea di vincolare l'intero comprensorio della via Appia Antica come bellezza naturale 2; così nel 1953 e nel 1954 due decreti del Ministero della Pubblica Istruzione (D.M. 14 dicembre 1953 e D.M. 19 ottobre 1954) ne sottoposero tutto il territorio a vincolo paesistico.
Come la legge 1089/39, anche la legge 1497/39 non ha mai determinato la protezione assoluta del bene; essa viceversa prevedeva che le aree vincolate fossero sottoposte ad un "Piano Territoriale Paesistico" (così come oggi il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che siano sottoposte ad un "Piano paesaggistico") , che fissi la massima edificabilità delle zone vincolate, costituendo così lo strumento per stabilire se una autorizzazione deve essere data o meno.
I lavori di stesura del Piano Paesistico della via Appia Antica furono molto travagliati: mentre la prima stesura (del 1955) sanciva, almeno per quanto riguarda la Caffarella, l'inedificabilità dell'intera superficie, la stesura definitiva (D.M. 11 e 22 febbraio 1960), dopo ben 5 anni di revisioni, decretava l'edificabilità di quasi tutto il territorio dell'Appia Antica (4.826.782 metri cubi su un territorio di 2157 ha), consentendo solo nella Caffarella la costruzione di 1.010.824 mc di villette; i fautori della salvaguardia della valle potevano ben dirsi sconfitti, i proprietari esultanti, la cultura umiliata.
Questo famigerato Piano Paesistico, che è ancora in vigore, doveva già essere sostituito dal Piano Paesistico previsto dalla legge Galasso (il termine per la sua approvazione da parte della Regione era il 31 dicembre 1986, ma la bozza è stata presentata solo nel maggio 2001), e dal 2004 dovrebbe essere sostituito dal Piano paesaggistico previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio; la cancellazione definitiva potrebbe anche derivare dall'approvazione del Piano del Parco regionale dell'Appia Antica, adottato nel luglio 2002, trasmesso alla Regione Lazio nel gennaio 2003 e da allora rimasto chiuso in qualche cassetto.
Negli anni '60 si stava elaborando un nuovo Piano Regolatore Generale per la città di Roma; mentre il Consiglio Comunale, nella stesura del 1962, abbandonava la Caffarella al Piano Paesistico, l'allora ministro ai Lavori Pubblici (on. Giacomo Mancini), al momento di approvare la stesura del Consiglio Comunale, bocciò tutta la parte che riguardava la via Appia Antica e impose di destinare tutta l'area a "parco pubblico"; va comunque detto che questa vittoria non sarebbe stata possibile senza il clamore sollevato da alcuni studiosi e dalla associazione Italia Nostra.

La Caffarella nel PRG di Roma del 1965
La Caffarella nel PRG di Roma del 1965; in rosso il coseddetto Asse Attrezzato


Il Comune accolse la decisione del ministro e, nel 1967, approvò la "variante" al Piano Regolatore che prevedeva il parco pubblico su tutti i 2500 ettari; finalmente nel 1971 tale variante fu approvata dal ministro ai LL.PP., rendendo così inedificabile il territorio della via Appia Antica e prevedendo l'esproprio dei terreni.
Il vincolo di inedificabilità del Piano Regolatore del 1965 - 1971 ha impedito l'edificazione della via Appia Antica e di molte altre aree importanti intorno a Roma; oggi tale vincolo, che era scaduto (i vincoli dei Piani Regolatori, se inattuati, decadono dopo 5 anni), è stato provvisoriamente riconfermato prima dalla cosiddetta "Variante di salvaguardia" al Piano regolatore generale del 1965, adottata con delibera del Consiglio comunale di Roma del 23/24 luglio 1991, n. 279 e approvata dalla Regione Lazio nell'aprile 2002, poi dalla cosiddetta "Variante a Verde e Servizi", approvata dalla Regione Lazio nel maggio 2002, e infine dal cosiddetto "Piano delle Certezze", adottato dal Comune di Roma nel 1997 e che sarà approvato prevedibilmente nel 2002.
Siamo così giunti alla storia recente; infatti gli anni '70 vedranno il Comune impegnato ad eseguire le direttive del Piano Regolatore; uno dei primi passi sarà appunto l'esproprio della Caffarella.

L'esproprio della Caffarella

Nel 1971 venne promulgata una legge che limitava il costo dei terreni da espropriare al loro valore agricolo, cioè tra 0,005 EURO/mq (terreni incolti) e 1 EURO/mq (colture pregiate) più un'eventuale indennità di fabbricato.
Approfittando dell'occasione, il 28/11/1972 il Consiglio Comunale deliberò l'esproprio di circa 73 ha di Caffarella al prezzo di 307.303.780 £; nel 1976 il Presidente della Giunta Regionale del Lazio ufficializzò l'esproprio e autorizzò il Comune a prendere possesso dell'area.
Immediata fu la reazione dei proprietari: infatti il marchese Alessandro Gerini, allora proprietario di quasi tutta la Caffarella (alla sua morte la proprietà è passata alla Fondazione Gerini), approfittò di una serie di cavilli burocratici per presentare ricorso al TAR del Lazio, indicando ogni motivo possibile immaginabile:

  1. la violazione del Piano Regolatore del 1965;
  2. la violazione del vincolo paesistico;
  3. la mancanza del Piano Particolareggiato che, secondo la legge urbanistica (legge 1150/42), è indispensabile per l'attuazione di qualsivoglia Piano Regolatore;
  4. la mancanza della "dichiarazione preventiva dell'Assessore regionale all'Urbanistica sulla pubblica utilità dell'opera" (un cavillo previsto dalla legge regionale n. 8/72).
Mentre la legge Bucalossi (legge n. 10/77) triplicava il costo dei terreni da espropriare, il 9/3/1977 il TAR respinse il ricorso di Gerini. Ma il marchese non si diede per vinto; così nel 1978, l'anno in cui il Comune cominciava ad occupare le aree espropriate, egli presentò ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR, e già che c'era aggiunse, come ulteriore motivo, il seguente:

I primi 6 mesi del 1980 riuscirono a vanificare tutto quello che si era realizzato in 8 anni:
in gennaio la Corte Costituzionale dichiarò l'illegittimità del sistema di determinazione degli indennizzi di esproprio, stabilendo che l'indennità di esproprio si sarebbe dovuta basare sul reale valore del terreno, quindi anche sul valore del suolo quale area edificabile.
in giugno il Consiglio di Stato accolse la motivazione (c) del ricorso, annullando così sia la sentenza del TAR sia l'esproprio del 1972; automaticamente, tutte le aree furono retrocesse ai precedenti proprietari.
Al fine di rientrare rapidamente in possesso dell'area, il Comune diede al Servizio Giardini l'incarico di disegnare rapidamente un Piano Particolareggiato per quasi tutta la Caffarella (180 ha circa); alla fine del 1980 il Piano era terminato, e quindi il Comune era pronto per ricominciare l'iter espropriativo.


Le incertezze del Comune

In realtà, durante gli anni '80 le diverse amministrazioni comunali hanno deciso di abbandonare la Caffarella, e tuttavia sono riuscite a farci credere il contrario con la approvazione di varie delibere senza efficacia; infatti:

  1. nel marzo 1981 (3 mesi prima elezioni comunali) il Consiglio Comunale deliberò l'esproprio dei 180 ha di Caffarella corrispondenti al progetto del Servizio Giardini; a tal fine era preventivata la spesa di 5,5 miliardi che la Ragioneria Generale del Comune avrebbe dovuto chiedere alla Cassa Depositi e Prestiti accendendo un mutuo; la procedura non si avvia neppure;
  2. nel dicembre 1984 (5 mesi prima delle elezioni comunali) la Giunta Municipale riapprova la stessa delibera del 1981; naturalmente la Ragioneria Generale non accende alcun mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti e cosi l'esproprio resta sulla carta 3;
  3. nel giugno 1985 (un mese dopo le elezioni) la Giunta Municipale uscente delibera di iniziare i lavori di sistemazione della Caffarella, stabilendo di spendere 2 miliardi da chiedere sempre alla Cassa Depositi e Prestiti; ovviamente anche questa delibera resta sulla carta;
  4. nell'ottobre 1986 il nuovo Consiglio Comunale approva, nel bilancio preventivo per lo stesso 1986, una spesa di 3 miliardi per cominciare l'esproprio; stavolta però l'esproprio non viene neanche deliberato;
  5. nel novembre 1987 il Consiglio Comunale, approvando il Piano degli Investimenti 1987 - 1989, prevede la spesa di 3 miliardi nel 1987 e 5 miliardi nel 1988 per "acquisizione e sistemazione del Parco della Caffarella"; poi della Caffarella non si sente più parlare;
  6. alla fine del 1988, nel nuovo Piano degli Investimenti comunale 1988 - 1990, vengono previsti 16 miliardi per il 1989 e 8 miliardi per il 1990;
  7. nel marzo 1990 il Consiglio Comunale approva un O.d.G. in cui "impegna il Sindaco e la Giunta ad avviare immediatamente le pratiche per l'esproprio della valle della Caffarella", mentre in maggio approva, nel bilancio preventivo, una spesa di 16 miliardi che ovviamente non vengono spesi.

In realtà il Comune, che avrebbe potuto spendere addirittura 56 miliardi di lire, non ha eseguito nessun atto concreto.


L'intervento della magistratura

Dal 1980 al 1987 alle incertezze del Comune (il quale, dopo l'annullamento dell'esproprio, trascurò di restituire gli atti di proprietà dei terreni) è corrisposto il completo disinteresse dei proprietari (i quali, in mancanza degli atti di proprietà, hanno ritenuto di non avere alcun obbligo nei confronti della Caffarella). Così le aree più esterne hanno subito sia il deposito incontrollato di migliaia di tonnellate di rifiuti, sia l'assalto di centinaia di orticoltori abusivi che hanno trasformato la Valle in una "bidonville".
In seguito alle denunce, diffide, esposti, petizioni, promossi dal Comitato per il Parco della Caffarella, firmati da migliaia di cittadini, e costantemente ignorati dalla Pubblica Amministrazione, è intervenuto il Pretore Gianfranco Amendola, il quale, il 4/3/1987, ha posto sotto sequestro circa 40 ha di Caffarella, costringendo il Comune a ripulire parzialmente la valle, ad abbattere alcune delle baracche e a restituire gli atti di proprietà dei terreni espropriati 15 anni prima. Appena però il Pretore ha smesso di tenere il Comune sotto pressione, la Caffarella è subito ritornata "terra di nessuno"; cosi, già durante l'estate '87, è ripreso lo scarico dei rifiuti e il frazionamento da parte degli orticoltori.


Il parco regionale dell'Appia Antica

All'inerzia del Comune fece degna compagnia la Regione Lazio che, sul finire del 1988, promulgò la legge regionale 10 novembre 1988 n. 66 "Istituzione del parco regionale suburbano dell'Appia Antica" (che comprende anche la Caffarella).
Questa legge era talmente caotica e contraddittoria da impedire ogni possibilità di funzionamento, eppure, per quanto avessimo proposto al Consiglio Regionale una serie di emendamenti che avrebbero reso la legge più "efficace", la nostra proposta non fu neanche presa in considerazione.
Così, il 25 novembre 1990 scadono i vincoli posti dalla legge regionale, e il territorio dell'Appia Antica (che è ancor oggi quasi completamente privato) torna sotto il famigerato P.T.P. del 1960, che porta ancora con sé tutte le sue abominevoli previsioni di edificabilità.
Per fortuna, un mese più tardi la stessa Regione Lazio approvò una legge che limita a 0,03 mc per mq l'edificabilità delle aree nelle quali i vincoli di P.R. sono scaduti; il territorio dell'Appia Antica era proprio in tale situazione, per cui, in Caffarella, fu possibile in quel periodo costruire "solo" 50.000 mc di villette.
Questo però non deve far dimenticare le numerose conseguenze negative che il parco regionale ha provocato:


Va infine segnalato che a ben quattro anni dalla creazione del parco regionale, solo in seguito ad una denuncia del Comitato per il Parco della Caffarella e alla conseguente indagine della Procura della Repubblica fu nominato il presidente del Consiglio di Amministrazione del Parco. Il Consiglio di Amministrazione del Parco regionale dell'Appia Antica si è insediato mercoledì 8 aprile 1992, e altri due anni furono necessari per l'approvazione dello statuto.

La Regione Lazio nel 1997 rivedrà completamente la disciplina delle aree protette, in parte accogliendo le indicazioni date dal Comitato per il Parco della Caffarella, attraverso la legge regionale 6 ottobre 1997 n. 29 "Norme in materia di aree naturali protette regionali". Un nuovo Consiglio Direttivo, più efficiente e motivato, si insedia nell'aprile 1998.


La legge per Roma capitale

Il 15 dicembre 1990 il Parlamento ha approvato la Legge n. 396 "Interventi per Roma, capitale della Repubblica"; questa legge ha, tra gli obiettivi prioritari, anche la creazione del Parco dell'Appia; la legge mette infatti a disposizione del Comune una grande quantità di denaro, in particolare: 100 miliardi di lire esclusivamente per S.D.O., parco dell'Appia e villa Ada, più 340 miliardi di lire per l'insieme delle opere per Roma capitale (altri parchi, anello ferroviario ecc. ecc.).
Il programma di interventi approvato dalla Giunta Carraro ha quindi destinato all'esproprio della Caffarella la cifra di 26 miliardi di lire, presa dal fondo esclusivo di 100 miliardi; dallo stesso fondo escono altri 26 miliardi per villa Ada, e il resto (48 miliardi di lire) va per l'avvio dello S.D.O. (sono previsti anche 3 miliardi per studi e progetti relativi al parco dell'Appia Antica e dell'area centrale).
La legge per Roma capitale stabilisce anche un nuovo criterio per la determinazione degli indennizzi per gli espropri (riconfermato dalla legge sul risanamento della finanza pubblica), come media tra il valore di mercato del terreno ed il relativo reddito dominicale (che significa da 9 EURO/mq a 3,50 EURO/mq a seconda del valore dei terreni); se il proprietario cede volontariamente il terreno riceve tale cifra, altrimenti ne riceve solo il 60%.


La situazione del degrado e dell'abusivismo

A partire dal 1981, mentre Comune e Regione erano impegnati a progettare, stanziare, programmare, discutere, approvare, istituire, nominare, pianificare, la Caffarella è rimasta abbandonata a sé stessa, e queste ne sono state le conseguenze:

  1. Circa 80 ettari (cioè quasi metà della Caffarella) sono stati periodicamente messi sotto sequestro per discarica abusiva di rifiuti; tuttavia le bonifiche effettuate dall'A.M.A. sono risultate talmente sporadiche che non appena una zona era pulita, altre due erano riempite di immondizia.
    Ancor oggi, raramente nelle aree diventate parco pubblico, ma frequentemente nelle aree rimaste private sia in Caffarella sia in tutto il territorio dell'Appia Antica, questo disastro continua per colpa di pochi vandali che, pur di risparmiare qualche EURO, preferiscono gettare i rifiuti in un parco archeologico piuttosto che portarli alla discarica pubblica. Tuttavia il problema è aggravato dall'insufficienza dei controlli effettuati da VV.UU. e Guardia Parco, e ancor più dall'inerzia dell'Amministrazione comunale e dei Municipi Roma IX e XI.
  2. Quasi dieci ettari sono rimasti occupati fino al 1998 dagli orti abusivi, indisturbati da un ordine di abbattimento per le baracche disabitate e nel completo disinteresse dell'autorità competente per le alterazioni della bellezza del luogo (cioè l'Ass.to alla tutela ambientale della Regione Lazio); oggi restano solo due ettari nella parte di Caffarella prossima alla ferrovia Roma-Pisa, ma molto di più rimane nell'area degli Acquedotti e in altri luoghi più o meno nascosti, e quindi, visto il totale disinteresse dei proprietari e dell'Amministrazione comunale e dei Municipi, questa attività pseudo agricola continua a consentire nel territorio dell'Appia Antica devastazioni di alberi e scarichi di rifiuti.
  3. Cinque fungaie hanno prosperato in Caffarella; questo tipo di industria, a parte la pericolosità per i lavoratori (tre morti negli ultimi anni), ha un impatto negativo sull'ambiente per gli immensi cumuli di terra di scarto lasciata a fermentare all'aperto, ma ciononostante ancora una o due fungaie sono attive all'interno della stessa Caffarella.
  4. Decine di edifici (nel territorio del Municipio Roma XI) sono sorti abusivamente e sono da allora sottoposti a procedimento amministrativo per abusivismo edilizio; l'iter per l'abbattimento sembra però bloccato dall'inerzia del Municipio; nel frattempo altri edifici continuano a nascere nelle aree meno esposte del territorio dell'Appia Antica.
  5. Le aree rimaste accessibili ai cittadini sono state utilizzate fino al 1999 per auto e motocross, e durante i giorni festivi erano in buona parte occupate da automobili in sosta; questo, oltre a danneggiare in certi punti in modo irreversibile l'ambiente naturale, contravviene alla legge regionale n. 29/87; ciò nonostante nessuna autorità di Polizia Giudiziaria si è mai preoccupata di intervenire, almeno fino all'istituzione del servizio Guardia Parco dell'Ente Parco regionale dell'Appia Antica.
  6. La falda acquifera sottostante ha accumulato un elevato inquinamento per streptococchi e colibatteri fecali, dovuto probabilmente ai liquidi fermentati dei depositi di terra di scarto delle fungaie che percolano sottoterra, alla presenza di pozzi neri all'interno di qualche orto abusivo e alla mancanza di allaccio fognario degli edifici lungo via della Caffarelletta; gli orticoltori abusivi hanno anche aperto senza autorizzazione una miriade di pozzi.
  7. Il fiume Almone (il corso d'acqua sacro ai Romani che scorre al centro della Caffarella) è ancora oggi così sporco da essere ridotto ormai a fogna a cielo aperto; l'opera di "bonifica" dei corsi d'acqua effettuata dall'amministrazione Gerini nell'inverno 1991-92 è stata così drastica da comportare la distruzione dei siti di riproduzione di uccelli e anfibi e l'abbattimento di alberi secolari; ancora nel maggio 2002 dall'alveo del fiume Almone, poco lontano dal Tempio del dio Redicolo, sono state asportate 9 tonnellate di rifiuti.
  8. Molti tra i monumenti della Caffarella sono rimasti fino al 1999 privi di controllo; di fronte a S. Urbano nel dicembre 1989 è stato scavato abusivamente un colombario ipogeo (ora ricoperto), il che ha comportato la distruzione delle strutture murarie e il furto delle suppellettili; il tetto della Vaccareccia (il casale al centro della Caffarella, costruito nel 1547), già lesionato dalla nevicata del 1985, è stato semi distrutto nel settembre 1992 da un incendio.
  9. Il campo di calcio di fronte a via Macedonia è stato smantellato, ma il terrazzamento che ne costituiva la base è stato ulteriormente allargato, al punto di soffocare il corso d'acqua sottostante.
  10. Sempre di fronte a via Macedonia è stato completamente ristrutturato il casale ottocenteco a torretta, che ha perso in parte l'aspetto originario; il casale e i quattro ettari di terreno circostante sono per di più soggetti ad un "atto d'obbligo", che fin dagli anni '60 avrebbe permesso al Comune, se questo avesse voluto, di entrare in possesso gratuitamente di tutto il complesso.
  11. La discoteca Stellarium ha affittato il terreno tra via Bitinia e via Centuripe per realizzare un parcheggio a raso; nel tira e molla con la Circoscrizione, sono state aperte alcune strade sterrate che hanno consentito alle automobili di invadere i prati (il parcheggio, qualora venisse costruito, oltre a distruggere una parte della Caffarella farebbe anche sparire un campetto di calcio che è oggi utilizzato liberamente dai ragazzi del quartiere).


Finalmente il Parco!

Siamo giunti finalmente a raccontare il processo che ha portato alla creazione di un primo stralcio di parco pubblico, tuttavia prima vale la pena di ricordare quale era in quel tempo la reazione del maggior proprietario della valle quando veniva interpellato a proposito dell'esproprio.

Mon. Men., una ragazza che lavorava sulla propria tesi di laurea in Architettura, contattava nel settembre 1992 la Fondazione proprietaria della maggior parte della Caffarella.
Viene immediatamente ricevuta dal Ragioniere responsabile, il quale esordisce spiegando che la Fondazione non è minimamente interessata alla Caffarella; la Fondazione piuttosto aspetta che il Comune di Roma scambi l'edificabilità su alcune aree dentro il G.R.A. con la cessione gratuita della valle.
La studentessa domanda perché la Fondazione, che dovrebbe avere uno scopo istituzionale di tipo sociale, non si impegna a proteggere la valle, ma il Ragioniere ha risposto che:
  1. la Fondazione in teoria si occuperebbe di dare lavoro ai giovani;
  2. in pratica la Fondazione non ha nessuna attività di questo tipo, tant'è che si mettono a cercare uno Statuto e neanche lo trovano;
  3. per quel che riguarda i fini sociali, alla Fondazione sarebbe anche piaciuto occuparsi della Caffarella ma, non potendo costruire nulla, non possono far altro che aspettare.
A proposito dell'esproprio, il Ragioniere dice che il Comune di Roma deve solo provare a espropriare la valle: la Fondazione "lo farebbe piangere", e comunque gliela farebbe pagare così cara che il Comune di Roma non potrebbe permetterselo; e se il Comune di Roma volesse provarci in ogni caso, la Fondazione è in grado di promuovere tali e tanti ricorsi da bloccare qualsiasi atto amministrativo.
Di fronte alla domanda "ma non pensate al disastro di lasciare la Caffarella abbandonata magari altri 10 anni", il Ragioniere replica che in passato la Fondazione aveva persino presentato un proprio progetto per realizzare il Parco pubblico senza oneri per il Comune (si tratta del cosiddetto piano Moretti N.d.R.), ma il Comune di Roma non lo ha approvato e così da allora è tutto bloccato ... per colpa del Comune di Roma.

Nel 1993, durante il periodo di commissariamento del Comune di Roma, il sub-commissario dott. Balsamo diede incarico all'allora direttrice dell'Ufficio Tutela Ambiente ing. Leoni di avviare la redazione del Piano di Utilizzazione della Caffarella, necessario per avviare l'iter espropriativo. Nel 1994 la Giunta comunale guidata da Francesco Rutelli confermò l'incarico alla nuova direttrice dell'Ufficio Tutela Ambiente del Comune di Roma, arch. Mirella Di Giovine. Il Piano di Utilizzazione, che era presentato pubblicamente nella primavera del 1994, viene quindi approvato (insieme al perimentro del primo stralcio dell'esproprio per un totale di circa 1230 ettari) con Accordo di Programma sottoscritto il 19 aprile 1996 dall'Assessore alla Tutela Ambientale della Regione Lazio avv. Giovanni Hermanin in rappresentanza della Regione Lazio, dal Soprintendente Archeologico di Roma prof. Adriano La Regina in rappresentanza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal Presidente del Parco regionale dell'Appia Antica dott. Antonio Cederna e dal Sindaco del Comune di Roma Francesco Rutelli; l'Accordo di Programma è quindi confermato con deliberazione del Consiglio Comunale 23 maggio 1996 n. 98 e ratificato dal Sindaco di Roma con Ordinanza n. 446 del 24 giugno 1996.

La deliberazione della Giunta Comunale di Roma n. 934 del 21 marzo 1997 approva l'esproprio e l'acquisizione di urgenza dei primi 120 ettari della Caffarella con i 26 miliardi di lire della legge per Roma capitale; da questo momento si avvia la trattativa con i proprietari, a partire dalla Fondazione Gerini cui appartiene la maggior parte della valle.

Nel settembre 1998 la Fondazioe Gerini, con l'assistenza del Comune di Roma e del IX Municipio, intraprende l'abbattimento degli orti abusivi e la bonifica delle aree degradate. Nel gennaio 1999 la Fondazione Gerini si accorda con il Comune per una cessione bonaria a circa 9 EURO/mq, nel marzo si avviano i lavori di attrezzatura a Parco finanziati per 9 miliardi di lire dal Piano degli Interventi per il Giubileo, nel maggio viene sgomberato il Tempio del dio Redicolo.

Siamo arrivati finalmente al Grande Giubileo del 2000: il 9 aprile 2000 i primi 37 ettari del Parco della Caffarella sono realtà, e nel 2001 le acquisizioni raggiungono un totale di 77 ettari. Nel maggio 2001 il Parco regionale dell'Appia Antica e il Municipio Roma IX inaugurano il Punto informativo della Caffarella, che viene affidato (senza oneri per la Pubblica Amministrazione) al Comitato per il Parco della Caffarella, nel quadro di un accordo tra Ente Parco e Associazioni Ambientaliste.
Per avere le notizie più recenti rimandiamo alla parte sulle ultime novità.

Note


Per commenti e osservazioni potete contattarci via e-mail c/o:
comitato@caffarella.it

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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 20 maggio 2002