Ormai lontana la desolazione del paesaggio del periodo medievale, la valle della Caffarella offre un'immagine ben più rassicurante; attraverso porta S. Sebastiano entrano trionfalmente a Roma nell'aprile 1536 l'imperatore Carlo V in visita a papa Paolo III, e il 4 dicembre 1571 Marc'Antonio Colonna vincitore a Lepanto. Un nuovo ruolo per la Caffarella appare anche nei versi che Giovanni Briccio scrisse all'inizio del Seicento: l'operetta popolare intitolata "Lo spasso della Caffarella" dimostra in quale considerazione fosse la festa di maggio nella valle dell'Egeria. Dimenticate le carestie e il banditismo che avevano travagliato la campagna romana tra il XVI e il XVII secolo, i Romani rincorrevano nell'uscire fuori Porta S. Sebastiano la stessa «allegrezza» che continua a caratterizzare quelle gite fuori porta che, divenute costume, proseguono ancora oggi.
Oh gustosa Caffarella_,
Oh gustosa Caffarella,
Oh gustosa Caffarella,
O gustosa Caffarella.
Oh gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella.
O gustosa Caffarella,
O gustosa Caffarella. |
Il fine della Caffarella. |
Pochi anni dopo, sempre con licenza de' Superiori, un certo Filippo de' Rossi descriveva la Caffarella in termini molto più rispettosi:
S. Urbano descritto da Filippo de' Rossi nel 1645 |
Brano scritto nel 1645 da Filippo de' Rossi per il suo "Ritratto di Roma Moderna", pubblicato dopo il gran successo che aveva poco prima avuto il "Ritratto di Roma Antica". Ambedue ebbero ovviamente il dovuto imprimatur e dovevano costituire una specie di vade mecum per il Giubileo del 1650. Ma quello che più conta è che il passo su S. Urbano è stato scritto dopo il restauro del monumento e la completa "sovradipintura", nel 1634, degli affreschi interni di frate Bonizzo, eseguiti nel 1011 e che costituiscono una specie di caposaldo nella storia dell'arte (ed anche della cultura popolare per la presenza di episodi tratti dai vangeli apocrifi). Gli affreschi dovevano essere in quel momento splendenti. Avevano ricalcato in grandissima parte l'originaria fattura con gusto seicentesco. Ed anche se oggi stanno in uno stato pietoso (con necessità impellente di restauro) sono testimoniati benissimo, comunque, dall'integrale riproduzione in incisioni che ne fu fatta, contemporaneamente, per volontà del papa. D'altra parte ... ci sarebbe mancato che uno che si era dato il nome di Urbano VIII non ci tenesse poi alla chiesa di S. Urbano. Quelle riproduzioni in bianco e nero si possono pure ritrovare, in vista anche di una nuova pubblicazione del libro sulla Caffarella dove, invece dell'elenco delle scene, ci possono figurare le scene stesse. E' più difficile invece sapere come il pontefice poté ricompensare quel certo, stranissimo, Signor Biliardo che ebbe il merito di "ritrouare" il luogo. A proposito, in questo caso mi sembra bello dare testimonianza, con la riproduzione delle pagine originali, delle "u" al posto delle "v" e delle "f" al posto delle "s".
Qualche anno dopo un altro autore ci descrive la Caffarella in un modo ancora diverso:
Trovarete più oltre un piano allagato. Questo è un ridotto d'acqua minerali, che scaturiscono poco lontano, quali servono per il prossimo molino da grano; e si dice Acquataccio corrottamente, che vuol dire, Acqua d'Accio, da Ati, giovanetto amato da Berecintia, madre delli Dei, la cui statua portata da Frigia a Roma ha huomini mandati colà a posta, fu lavata da uno dei suoi Sacerdoti colà. In questo luogo vengono le pecore, et altri animali, che patiscono di scabbia, o di simile infermità, e guariscono.
Nonostante i restauri di S. Urbano e di altre chiese sulla via Appia Antica promossi da papa Urbano VIII e dal card. Francesco Barberini, nonostante gli allagamenti, nonostante le guide giubilari e le relazioni dei marchesi francesi, il popolo romano continuerà ad usare la Caffarella soprattutto per le scampagnate:
Egli è qui da notarsi che le Feste presso i Romani dette Saturnali, presso i Candiotti appellavansi Mercuriali; poiché in quell'Isola fioriva il traffico, ed era gran copia di negozianti, come Diogene Laerzio dottamente raccoglie Gio. Brodeo.
I Romani mercadanti che a' XV Maggio sacrificavano a Mercurio una porca gravida, poscia colla stess'acqua lustrale le loro merci ancora aspergevano: Di che Ovidio ne' suoi Fasti (Lib. V v. 669)
TEMPLA TIBI POSUERE PATRES SPECTANTIA CIRCUM,
IDIBUS EX ILLO HAEC TIBI FESTA DIES.
TE QUICUMQUE SUAS PROFITEUR VENDERE MERCES,
THURE DATO TRIBUAS UT SIBI LUCRA, ROGANT.
EST AQUA MERCURII PORTAE VICINA CAPENAE,
SI JUVAT EXPERTIS CREDERE, NUMEN HABET.
HUC VENIT INCINCTUS TUNICAS MERCATOR, ET URNA
PURUS SUFFITA QUAM FERAT HAURIT AQUAM.
UDA FIT HINC LAURUS; LAURO SPARGUNTUR AB UDA
OMNIA, QUAE DOMINOS SUNT HABITURA NOVOS.
SPARGIT ET IPSE SUOS LAURO RORANTE CAPILLOS,
ET PERAGIT SOLITA FALLERE VOCE PRECES.
ABLUE PRAETERITI PERJURIA TEMPORIS, INQUIT,
ABLUE PRAETERITA PERFIDA VERBA DIE.
E poco dopo soggiunge il Poeta
ET PATEANT VENIENTE DIE PERJURIA NOBIS;
NEC CURENT SUPERI, SI QUA LOCUTUS ERO.
DA MODO' LUCRA MIHI, DA FACTO GAUDIA LUCRO;
ET FACE UT EMPTORI VERBA DEDISSE JUVET.
Questa medesima solennità, se vero sia ciò, che nell'allegato calendario si legge, ripetevasi negl'Idi, o sia il dì XV Ottobre, che da Virgilio credesi natalizio di Mercurio.
Anche al presente usa il Popolo Romano nel primo giorno di Maggio di
concorrere in cotal luogo, detto la Caffarella; e presso que' fonti
incoronarsi di frondi, e di fiori; cenare, saltabellare, e con varj stromenti
divertirsi, e cantare; e così tripudiando tornare in Roma sul
tramontare del sole:
Ne' tempi andati in seguela della idolatra superstizione, ciò
faceasi a XV di Maggio; ma da' Sovrani Pontefici fu espressamente vietato. E
per tutte le domeniche di Maggio fu conceduta l'indulgenza plenaria nella
chiesa di S. Bastiano fuori la Porta Capena; alla quale presero a
portarsi collegialmente gli artigiani con offerta di cere, di argenti, e di
altro, come a lungo narrasi da Jacopo Volterraneo nel suo diario,
SINGULIS MAII DOMINICIS CONCURSUS FREQUENS EST AD AEDEM S. SEBASTIANI,
QUAE VIA APPIA SITA A PORTA NOMINIS EJUS CIRCITER MILLE PASSIBUS DISTAT.
SUNT QUI OB RELIGIONEM CEREOS MIRAE MAGNITUDINIS OFFERANT, ARGENTEOS
CALICES ETC. PORTITORES, PISTORES, VINARII COLLEGIALITER CANTANTES, TOTA
VIA ET C.
Di tal costume di Roma si parla in un'antichissima scrittura del 1175 nell'Archivio del Monistero di S. Lorenzo della Città di Aversa de' Monaci Cassinesi, che mi fu fatta osservare dal fu dottissimo P. Laudati.
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